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Papa Francesco, Donald Trump e la ricerca delle convergenze

Tempo addietro padre Federico Lombardi spiegò grosso modo così la differenza di metodo tra Benedetto XVI e Francesco. Quale direttore della Sala Stampa Vaticana si recava da Benedetto dopo i colloqui con i capi di Stato, riceveva le indicazioni sui temi affrontati, su cosa aveva registrato convergenza, cosa no, e quindi sulla scaletta di possibili futuri colloqui. Il suo lavoro successivo, diramare il comunicato ufficiale vaticano, era abbastanza semplice. Con Francesco, aggiunse, non funziona così. Lui si recava dal Papa sempre nella sua veste di direttore della Sala Stampa Vaticana, ma Francesco gli diceva tutt’altro. Quest’uomo mi ha colpito, pensa che mi ha detto di aver fatto una volta questo e quest’altro, ed è un aspetto importante. Dobbiamo rivederci, c’è molto da fare con lui per il bene della Chiesa, del mondo.

Andrà così anche con Trump? In agenda ci sarà davvero l’ecologia, lo dicono in molti ed è difficile dubitarne. Ma la loro, probabilmente, sarà un’agenda aperta. Bergoglio vorrà parlare con Trump, capire chi sia, e anche Trump penserà a relazionarsi con il suo interlocutore, per la sua visione il colloquio è cruciale.

Ma qual è la visione di Trump? Nei discorsi tenuti durante questo suo primo viaggio il “fatto” che abbia detto cose molto importanti e forse inattese (“il 95% delle vittime del terrorismo sono musulmani”) non può essere rimosso. Ha ricordato che ci sono tanti terrorismi, ha citato per nome e cognome Hezbollah, che troppo spesso –a mio modo di vedere- si dimenticava nei tempi recenti. Ma temo che il colloquio con i leader musulmani aperto da una voce che salmodiava il Corano come le visite “religiose” a Gerusalemme possano rimandare una visione “pancostantiniana”, una sorta di patto tra troni e altari di tutte le fedi. E’ un po’ quel che Steve Bannon ha sostenuto in altre circostanze, che Trump forse ha esteso ai tre monoteismi, mentre in Bannon era limitato alla civiltà giudaico-cristiana.

Qui ci sarebbe un curioso tratto di connessione tra Trump e i suoi predecessori, incluso Obama, che fece proprio come Trump, ma al Cairo. La dimensione teologica della presidenza americana rimarrebbe dunque anche in Trump come in Obama e Bush jr.

Non voglio offendere le categorie, parlo di neo-costantinismo per indicare un mega-patto (che esclude l’Iran). Ma il mega-patto non è un’alleanza. Può produrre avvicinamenti, ma non è la politica dell’Alleanza.

L’Alleanza che vede Bergoglio è altro, è una piena, profonda accettazione delle fedi e delle culture, che insieme non possono che arricchirci, aiutandoci a incamminarci sulla via di una globalizzazione poliedrica, cioè rispettosa, e quindi della pace. E’ una visione quella di Francesco che, a mio avviso, fa i conti e archivia il costantinismo. Le religioni sono bacini di spiritualità, che non possono legarsi a regnanti, a governi, a patti militari. Devono invece concorrere a servire l’uomo, con i loro semi di verità, senza vedere questo o quello come amici eterni, questo o quello come nemici giurati.

Si possono trovare convergenze? Per papa Francesco il tutto è superiore alla parte, e nel nome del tutto, cioè del genere umano e non di una parte di esso, opererà certamente alla ricerca di quanto potrà emergere di “interessante” dal racconto che Trump gli farà di sé. Che questo qualcosa emerga serve a tutti, anche perché chiedere che il jihadismo sia cancellato, sradicato dalla faccia della terra, come ha detto Trump, corrisponde agli auspici di tutti. Ma può essere fatto solo sconfiggendolo culturalmente. Il nome della pace è sviluppo, disse Paolo VI e ha ribadito Francesco salutando il corpo diplomatico a inizio d’anno. Cinquant’anni dopo la Populorum Progressio questa enorme verità non potrà non essere al centro dei colloqui tra il presidente degli investimenti e il papa del governo dal basso.



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