Una sentenza che fissa paletti molto chiari e che potrebbe avere applicazioni in diversi settori: la Corte di Cassazione ha stabilito che i migranti devono conformarsi ai nostri valori e che “non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”. Righe che non consentono dubbi di sorta sulla loro interpretazione e che costringeranno tutte le comunità straniere ad adeguarsi, con possibili conflitti sociali perché è probabile che un concetto giuridico considerato ovvio nella mentalità europea e occidentale non lo sia altrettanto per chi proviene da culture completamente diverse.
La Prima sezione penale della Cassazione ha definito quello che è un “limite invalicabile”: “In una società multietnica – è scritto nel verdetto – la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 della Costituzione che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante”. La sentenza è ancora più interessante perché l’episodio su cui si sono pronunciati i giudici non era considerato punibile dalla Procura generale. Un indiano sikh nel 2015 era stato condannato a 2 mila euro di ammenda dal Tribunale di Mantova perché il 6 marzo del 2013 a Goito (Mantova), dove c’è una grande comunità sikh, era stato sorpreso armato di un coltello lungo quasi 20 centimetri, arma tipica per la sua cultura. L’indiano, infatti, aveva sostenuto che il coltello (kirpan), come il turbante “era un simbolo della religione e il porto costituiva adempimento del dovere religioso”. Aveva dunque fatto ricorso in Cassazione chiedendo che venisse annullata l’ammenda e la Procura della Suprema Corte aveva chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna, accettando la giustificazione “culturale”.
I giudici sono stati di parere opposto. “È essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina”. Quindi, se si sceglie di vivere in Italia si ha l’obbligo di rispettarne leggi e costumi. La sentenza aggiunge perciò che “la decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha la consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza, ne impone il rispetto e non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”. In poche parole: siamo una società multietnica e vi accogliamo, ma voi siete obbligati a rispettare le nostre regole.