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Vi racconto le ultime tensioni in Marocco

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Alla fine, dopo 48 ore di fuga, il leader della rivolta del Rif, Nasser Zefzafi, è stato arrestato alle prime ore di questa mattina. Ma cos’è il Rif e chi è questo nuovo leader della rivolta? Fanno parte di una storia rimasta fuori dai riflettori di questi giorni. Concentrati sul G7 di Taormina e le dinamiche degli ultimi attentati per mano jihadista, rischiamo di perdere di vista i turbolenti movimenti di rivolta che stanno interessando uno dei paesi più stabili del Nord Africa, il Marocco, rimasto come unica speranza ed eccezione del caos che ha ribaltato il Nord Africa fino al Vicino Oriente.

Il Paese, infatti, sta vivendo giorni di tensione con seri rischi di implosione anche in pieno Ramadan, dove torna a bollire, appunto, il suo Rif: la regione berbera a nord, il suo vero ventre molle che si agita minaccioso ricordando vecchi fantasmi del passato mai esorcizzati.

Ma partiamo dall’attualità. Il 18 maggio mentre le nostre telecamere erano focalizzate su altri eventi internazionali, sono scesi in migliaia a manifestare nel cuore di Al Hoceima per denunciare la corruzione, la repressione e la disoccupazione che schiaccia la popolazione della regione. Certo, nel Paese non mancano manifestazioni e forse, rispetto ad altri Stati dell’area, è proprio una certa libertà di manifestare ad aver scongiurato il caos.

Tuttavia quella di al Hoceima e del Rif è stata tutt’altro che la solita pacifica e normale manifestazione. E non solo per il numero imponente dei cittadini che si sono riversati nelle strade in altre città del Marocco lontane dal Rif, ma anche perché per la prima volta c’è un capo, un leader che la unifica contro il potere centrale.

Per questo, e molto altro, quella del Rif, indica la vera sfida per l’emancipazione reale del Marocco. Non sorprende, dunque, che sia stata seguita passo dopo passo da monarca Mohammed VI che ha rinunciato all’appuntamento con Trump in Arabia Saudita. La posta in gioco è molto alta, e il passato di questa regione dovrebbe ricordarlo.

L’onda del malcontento del Rif, come sottolineato, ha radici lontane e storiche a partire dalla sua parentesi separatista, realizzata dal condottiero Abdelkrim El Khettabi che nel 1921 proclamò la Repubblica confederata delle tribù del Rif. Iniziativa politica che per lungo tempo destabilizzò, non poco, la legittimità della monarchia Alaouita con una vera guerra civile consumata – dopo l’indipendenza del Paese dalle forze coloniali, francesi e spagnole – con Hassan II al trono, tutt’altro che aperto al dialogo.

E così che il passato ribelle del Rif costò caro ai suoi cittadini. Una emarginazione non solo affettiva ma anche economica. Il timore e la sfiducia un po’ anche paranoica, si tradusse con la militarizzazione della regione, vigente fino ad oggi.

Il risultato è che una regione è arrivata al collasso, rimasta fuori dallo sviluppo del Paese – con la pesca (principale fonte di occupazione) e l’agricoltura (la regione è considerata la più fertile del paese, ma la produzione è bassa) – ed è stata esclusa anche dalle guide turistiche nonostante le sue grandi potenzialità e la stupenda costa sul Mediterraneo.

È dietro a questo quadro che si nutre la bomba ad orologeria capeggiata, oggi, da Nasser Zefzafi, ormai agli arresti. Anche se la rivolta del Rif in realtà si è accesa con una piccola miccia neanche sei mesi fa, con la morte del venditore ambulante di Pesce, Mouhcine Fikri. L’incidente con le forze di polizia che ha causato la sua morte brutale, filmata e divulgata sul web, aveva raccolto l’indignazione di tutti i marocchini da nord a sud, dentro e lontano dalle frontiere del Paese. Lo strapotere del Makhzen era finalmente dentro l’occhio del ciclone, e la storia triste dell’ambulante berbero era divenuta l’occasione giusta per riportare i riflettori su una regione del Marocco fin troppo trascurata per infrastrutture, interessi, vecchie ostilità e diffidenze. Ma non solo. Era diventata l’occasione per toccare anche quei temi che riguardano un po’ molti strati della popolazione marocchina, con sentimenti di emarginalizzazione. Sintomo di un malore che si cova da più tempo e che non può più essere sottovalutato.

A sei mesi da quell’incidente, Zefzafi ha convogliato verso la sua figura le frustrazioni di tutta una regione per troppo tempo ignorata e che, oggi, non vuole più stare a testa bassa.

L’appuntamento per la nuova manifestazione era stato dato per il 21 luglio, ma il leader della protesta ha fatto un passo falso. Nella preghiera del venerdì durante il sermone dell’Imam che invitava i fedeli a proteggere l’unità della nazione dalle divisioni e dalla “fitna”, Zefzafi, sentitosi chiamare in causa con i suo compagni, ha interrotto l’imam, preso il microfono e ha dato sfogo ad un monologo pieno di accuse contro il potere, comprese le figure religiose definite corrotte e pedine, fino ad usare toni conservatori, populisti e pericolosamente islamisti contro le aperture del Paese, ritenute poco islamiche e infine annunciando di essere pronto anche al martirio per la causa.

Questo è bastato per farlo etichettare con preoccupazione dalla stampa laica marocchina, come un secondo Al Baghdadi. Un intervento che ha fatto scattare la richiesta di arresto per “attentato alla sicurezza nazionale”.

Zefzafi, protetto dai suoi, è rimasto in fuga per 48 ore. Non solo. Nella regione ci sono stati scontri tra i suoi adepti e le forze dell’ordine, con 28 arresti.

Oggi Zefzafi è stato arrestato, ma la cronaca degli eventi raccontati, non preannunciano un raffreddamento degli animi. Anzi, si profila un futuro tutt’altro che stabile, per quello che veniva chiamato con entusiasmo “l’eccezione marocchina”.

Forse sarà il caso di fare i conti con il passato, mettendolo sul binario dell’emancipazione economica culturale e sociale, del futuro, con investimenti reali.

Altrimenti l’implosione è alle porte, anche per quello che viene definito il Re dell’Africa, l’uomo più amato e popolare del Marocco, chiamato dai giovani M6.



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