Con il Qatar isolato politicamente da un fronte arabo di quattro Paesi guidato dalla Arabia Saudita, siamo di fronte ad una crisi all’interno del fronte sunnita che si sovrappone al conflitto tradizionale con quello sciita guidato dall’Iran. Si inseriscono a loro volta in uno scontro geopolitico globale, che si iscrive nell’ambito di una guerra senza tregua per la conquista dei mercati di sbocco per i combustibili fossili: è una matrice di gioco a quattro entrate.
Se, un tempo, comprendere ciò che avveniva oltre le mura del Cremlino era talmente difficile da rappresentare un rebus avvolto in un mistero, qui c’è di mezzo anche una sciarada che serve ad interpretare gli ordini di una battaglia navale. D’altra parte, neppure gli stessi protagonisti conoscono tutte le intenzioni degli altri giocatori, e soprattutto i limiti di cedimento ed i punti di rottura. Le reazioni inconsulte, apparentemente irragionevoli, sono sempre dietro l’angolo.
L’isolamento politico, diplomatico e commerciale del Qatar, deciso congiuntamente da Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrain lunedì scorso, addirittura con la chiusura delle frontiere terrestri da parte dell’Arabia, è il frutto dell’ulteriore conflitto regionale che si è andato a sovrapporre in questi ultimi anni alla cronica instabilità dell’intero scacchiere mediorientale.
Che qualcosa non filasse affatto per il verso giusto, lo si era capito dalla forte tensione, palese già a Rijad, durante la riunione del cosiddetto fronte sunnita svoltasi in occasione della visita del Presidente americano Donald Trump. A fronte dell’appello di quest’ultimo a formare una sorta di Nato araba, per combattere l’Iran colpevole di sostenere il terrorismo internazionale, il Premier egiziano Al Sisi aveva pronunciato un discorso durissimo, sostenendo che nella lotta al terrorismo globale bisogna considerare tutte le organizzazioni criminali, e non solo una o due. Gli Stati che in questi anni scorsi avevano fornito loro assistenza militare, finanziaria, logistica e mediatica, dovevano essere considerati complici: la allusione al Qatar, che detiene la catena televisiva Al Jazeera, non poteva essere più chiara. Il finanziamento dei Fratelli Musulmani da parte del Qatar, con l’appoggio della Turchia, aveva portato in Egitto ad una violenta esplosione di atti terroristici, che Al Sisi si è arrogato il compito di stroncare.
Messaggio ricevuto. Alla fine del Summit, infatti, non poteva essere più netto il messaggio politico inviato al mondo intero: la ritrovata alleanza tra Usa, Arabia Saudita ed Egitto era stata consacrata nella foto che ha ritratto insieme il Presidente Trump, il re Salman ed il Presidente Al Sisi, con le mani unite su una sfera luminosa, emblema del mappamondo.
Negli otto anni della Presidenza Obama, molto è cambiato in Medi Oriente. C’è stata, per quanto qui rileva, l’irruzione sulla scena di due nuovi protagonisti dinamici e fortemente desiderosi di affermarsi, Turchia e Qatar, che hanno agito di conserva. Il loro attivismo è stato permesso dal contestuale collasso della egemonia egiziana dopo la caduta di Hosni Mubarak, dalla polverizzazione della Libia di Muammar Gheddafi e dalla guerra civile che devasta da anni la Siria di Bashar al-Assad. Era saltato l’equilibrio durato mezzo secolo, secondo cui nessuna guerra in Medi Oriente era possibile senza l’assenso dell’Egitto e nessuna pace senza quello della Siria.
Mentre la Turchia ha cercato di sostituirsi all’Egitto nel suo ruolo di perno nel Mediterraneo, il Qatar ha progressivamente offuscato l’Arabia Saudita nella sua capacità finanziaria. Il Qatar ha un territorio enormemente più piccolo ed una popolazione di gran lunga minore rispetto all’Arabia Saudita: appena 11 mila km quadrati e 2,6 milioni di abitanti il primo, oltre 2 milioni di km quadrati e 31,5 milioni di abitanti la seconda. Il Pil pro capite è rispettivamente di 146 mila e di 20 mila dollari annui: il Qatar occupa il 1° posto al mondo, l’Arabia Saudita il 36°. La sola capitale saudita, Rijad, con 7,5 milioni di abitanti, ha più del triplo della popolazione dell’intero Qatar.
In termini di potenziale finanziario, la grande ricchezza dell’Arabia Saudita non è mai stata completamente definita sul mercato: solo con la appena ipotizzata quotazione di Aramco, la compagnia petrolifera di Stato, il valore del Fondo sovrano saudita salirebbe dai circa 160 miliardi ad oltre 2 mila miliardi di dollari, superando in cima alla classifica il ricchissimo Fondo norvegese, che detiene asset per circa 870 miliardi di dollari. Il Fondo sovrano del Qatar è già accreditato di un patrimonio di oltre 250 miliardi di dollari, ottenuto valorizzando le immense risorse di gas racchiuse in un giacimento che condivide con l’Iran, il dirimpettaio nel Golfo Persico. Insieme al potenziale finanziario, sono cresciute le ambizioni politiche del Qatar ed i problemi che inevitabilmente ne conseguono: per acquisire influenza nell’area, Qatar e Turchia hanno sostenuto insieme la Fratellanza Araba in Egitto e Libia. Come se non bastasse, ci sono le relazioni con gli Hezbollah che disturbano assai Israele nelle relazioni con i Palestinesi.
Le strette relazioni del Qatar con l’Iran, indispensabili per via della condivisione del giacimento di gas North Dome-South Pars che si disloca anche nelle acque del Golfo, sono state malviste dall’Arabia Saudita, non solo per via della storica ostilità tra Sunniti e Sciiti, quanto delle opposte alleanze geopolitiche, con gli Usa da una parte e la Russia dall’altra. Il fatto poi che l’Amministrazione Obama avesse migliorato nettamente i rapporti con l’Iran, con un Trattato che ha allentato la morsa di un embargo ormai quarantennale, aveva ulteriormente raffreddato i rapporti con l’Arabia Saudita e soprattutto accresciuto in Israele il livello di preoccupazione per la propria sicurezza.
La rottura delle relazioni diplomatiche e di frontiera con il Qatar ha messo immediatamente in moto una serie di reazioni: gli Usa, che hanno una base militare di grande importanza in Qatar, nonostante una prima approvazione da parte di Trump, si sono dichiarati disponibili e svolgere il ruolo ritenuto opportuno dalle parti; l’Iran ha annunciato che provvederà all’invio di generi alimentari; il parlamento della Turchia ha autorizzato l’invio di truppe; il Kuwait cerca di fare da mediatore.
Silenzio assoluto, invece, da parte dei governi europei e di quello italiano. Non solo per via degli ingenti investimenti del Qatar nell’intero Continente, quanto del coinvolgimento diretto in operazioni commerciali e finanziarie di elevato rilievo politico. Appena un anno fa, dopo il contratto di fornitura di 28 caccia Eurofighter, l’Italia ha firmato un MOU per la cooperazione nel settore navale tra Italia e Qatar, a cui si sono aggiunti due contratti con Fincantieri e MBDA Italia per circa 5 miliardi di euro. Si tratta della maggiore commessa mai sottoscritta dall’industria della difesa italiana. Fincantieri ha firmato un contratto del valore di 3,8 miliardi di euro per 7 navi di nuova generazione: 4 corvette multiruolo, 2 pattugliatori OPV (Offshore Patrol Vessel) e una nave anfibia LPD (Landing Platform Dock), oltre a supporto al prodotto per 15 anni. MBDA Italia ha firmato una lettera di intenti per fornire capacità operative alle nuove unità navali del Qatar, per circa un miliardo di euro.
Non basta. Per quanto riguarda le strategie di sviluppo in campo energetico, il Qatar deve essersi convinto della impossibilità di realizzare con le sue sole forze politiche un gasdotto volto a rifornire l’Europa, passando dalla Siria ed approdando in Turchia, con un tracciato alternativo tanto al South Stream che al Nabucco. Per questo motivo, alla fine dello scorso mese di marzo è entrata nel capitale della Rosneft, il colosso pubblico russo del settore energetico, di cui a dicembre 2016 era stata decisa la privatizzazione del 19,5%. L’Italia è stata un partner indiretto dell’operazione, con un prestito di 5,2 miliardi di euro da parte di Intesa San Paolo. Questa partecipazione rappresenta il secondo passo dell’avvicinamento del Qatar all’asse geopolitico formato da Russia ed Iran, contrapposto a quello di recente rinsaldatosi tra Stati Uniti ed Arabia Saudita.
Siamo in un contesto di riallineamento delle alleanze e degli schieramenti, con il ritorno agli equilibri precedenti: il rimescolamento di carte avvenuto durante la Presidenza Obama sembra destinato a cessare. Il Qatar deve rientrare nei ranghi: finché si tratta di investire, comprandosi di tutto, anche il Paris Saint Germain, va tutto bene. Ma finanziare movimenti politici destabilizzanti, tra Egitto e Libia oppure tra Libano e Giordania, questo proprio no. A buon intenditor, poche parole: “Sutor, ne citra crepidam”.