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Le caste, i casti e le castronerie

Rizzo, Stella, cazzola, casta

“Sono passati dieci anni dalla pubblicazione del libro di Stella e Rizzo ‘La casta’. Da allora sui grandi quotidiani e le testate nazionali abbiamo potuto leggere 3.823 titoli di giornale dedicati alla casta, ai vitalizi, alle pensioni d’oro. Più di un articolo al giorno per dieci anni. Nello stesso periodo di tempo alla disoccupazione giovanile sono stati dedicati soltanto 67 articoli, sul lavoro precario ne abbiamo potuti leggere 40, mentre sulla disuguaglianza sociale ne abbiamo visti 83. Sull’evasione fiscale sono stati pubblicati solo 314 articoli, mentre alla povertà ne sono stati dedicati 718. Solo la mafia batte la casta, con 5.046 titoli. Evidentemente le garanzie poste dalla Costituzione a tutela della funzione parlamentare, appaiono pericolose quasi quanto la mafia. Se poi consideriamo le migliaia di ore di talk show e di trasmissioni televisive e radiofoniche a senso unico sul tema dei vitalizi, o l’enorme spazio dedicato a questo argomento dalle cronache e dai quotidiani locali non è azzardato concludere che non di informazione si tratta, ma di un vero e proprio accanimento contro le assemblee elettive del nostro Paese”. Così Antonello Falomi, presidente dell’Associazione ex parlamentari nella sua relazione durante l’assemblea annuale. Gli si può dare torto?

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Gratitudine imperitura per gli elettori de L’Aquila che hanno liquidato con poco più di mille voti le ambizioni politiche di Nicola Trifuoggi, ex pm nel processo Del Turco, incautamente candidatosi a sindaco della città.

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Ma davvero il conte Paolo Gentiloni Silverj è disposto ad “obbedir tacendo e tacendo morir” (sul piano politico, si intende)? Si dice che nel Congresso romano del Pd appoggi una candidatura differente da quella sostenuta da Matteo Renzi. Sarebbe un buon segno.

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L’avevamo capito e scritto. Chi pubblica un saggio/intervista (“stimolato” da due collaboratori compiacenti con i quali ha evidentemente concordato le domande) come “Il piano inclinato”, lo fa sicuramente con uno scopo: quello di far sapere urbi et orbi che lui è disponibile a ridiscendere in campo. Parliamo di Romano Prodi (il quale si è persino recato alla presentazione dei Diari di Bruno Trentin di cui non era certo un frequentatore). Attenzione a sottovalutarlo. Prodi è il solo ad aver battuto ben due volte Silvio Berlusconi. Di lui la storia sarà più generosa della cronaca (specie se a scriverla vi sono personaggi astiosi come Mario Giordano). Il professore è quello che ha portato l’Italia nel club dell’euro e da presidente della Commissione europea è stato protagonista dell’allargamento e dell’inclusione dei Paesi “liberati” dal socialismo reale. Sono state scelte queste molto più incisive dell’erogazione di 80 euro in busta paga o della totale abrogazione della tassa sulla prima casa.

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Certo. Prodi ha vinto, ma non è mai stato in grado di arrivare alla fine di una legislatura. La sua coalizione – fosse l’Ulivo o l’Unione – si è sempre divisa dopo poco tempo. Ma dove sta scritto che, anche in questa occasione, il professore debba essere il “federatore” del centro-sinistra in chiave anti-Renzi? Immaginiamo un diverso scenario: che dopo le elezioni politiche il Paese si trovi in braghe di tela, senza un governo stabile ed in una situazione economica critica. E che Sergio Mattarella tenti di compiere la medesima operazione promossa da Giorgio Napolitano nell’autunno del 2011. Con Prodi al posto e nel ruolo di Mario Monti, alla guida di un governo di profilo più tecnico che politico.



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