È iniziata e potrebbe concludersi questa settimana, in Aula alla Camera, la discussione del disegno di legge “Concorrenza”, il cui iter parlamentare sembra destinato a non aver fine. Sembrava dovesse essere la lettura definitiva e invece si sono riaperti i termini dopo l’approvazione in Commissione di alcuni emendamenti, con il conseguente ritorno in Senato per, si spera, la definitiva approvazione. E intanto incombe la pausa estiva. Ma andiamo in ordine.
Approvato dal consiglio dei ministri nel febbraio 2015, fu licenziato dalla Camera nell’ottobre dello stesso anno. Il Senato lo ha approvato, con un voto di fiducia, a maggio di quest’anno. Sembrava che il passaggio alla Camera fosse veloce e senza variazioni. Qualcosa, invece, non ha funzionato nella maggioranza. Così, a fronte della volontà del ministro Carlo Calenda di voler approvare il provvedimento così come emendato dal Senato, una forte componente del Partito Democratico premeva per apportare delle modifiche. Che sono state puntualmente approvate dalle Commissioni Finanze e Attività Produttive. Riguardano l’energia, le assicurazioni, il telemarketing e gli odontoiatri.
La reazione del ministro Calenda non si è fatta attendere. “Con tutto il dovuto rispetto per il Parlamento, la decisione di riaprire il ddl Concorrenza a più di 850 giorni dalla sua presentazione, è difficilmente comprensibile e rischia di trasmettere l’ennesimo segnale negativo a cittadini, imprese e istituzioni internazionali. Spero, ha concluso il ministro, che il PD non si trasformi nel partito che vuole rottamare la concorrenza”. Al di là delle polemiche, i tempi certo sono destinati ad allungarsi, ma c’è tutto il tempo per poterlo approvare definitivamente in Senato anche prima della chiusura estiva.
C’è un caso: il comma 121 dell’articolo unico del testo approvato con la fiducia dal Senato. Si tratta di modifiche al Codice Ambientale del 2006 e riguardano le autorizzazioni che il ministero dell’Ambiente deve concedere alle aziende che intendono costituire un sistema autonomo di recupero dei rifiuti di imballaggio, al di fuori del CONAI, il Consorzio Nazionale Imballaggi. Attualmente la legge prevede che il riconoscimento del sistema autonomo da parte del ministero avvenga in due fasi: la prima, basata su una verifica formale dei documenti del progetto, il sistema autonomo può operare in via sperimentale; nella seconda viene verificata, attraverso una serie di controlli sul campo, l’effettiva capacità del sistema di realizzare le attività di raccolta, recupero e riciclo degli imballaggi su tutto il territorio nazionale e di raggiungere gli obiettivi di recupero previsti dalla legge. Come avviene per i Consorzi che aderiscono CONAI. Solo in questo caso il ministero potrà concedere il riconoscimento definitivo ad operare. E, comunque, fino all’emanazione del provvedimento definitivo, permane per le aziende di corrispondere al CONAI il previsto contributo ambientale, come avviene per tutte le altre. Tale contributo serve a pagare ai Comuni i “maggiori oneri” che questi devono sostenere per organizzare la raccolta differenziata degli imballaggi. Tanto per avere un’idea di cosa stiamo parlando, nel 2016 il CONAI ha versato nelle casse dei Comuni, o delle loro aziende di raccolta, oltre 440 milioni di euro.
Con l’introduzione delle norme previste dal “Concorrenza” sarebbe sospeso il pagamento del contributo ambientale all’atto della presentazione della domanda, a prescindere dall’esito positivo o meno del riconoscimento definitivo. Considerati i tempi necessari per le istruttorie da parte del ministero dell’Ambiente, si può immaginare quali impatti economici negativi ne deriverebbero. Per le aziende concorrenti che dovrebbero sobbarcarsi i costi anche di coloro che non pagherebbero più il contributo (alla faccia della concorrenza!). E per i Comuni che potrebbero vedere ridursi i loro rimborsi da parte del CONAI per i mancati introiti. Senza parlare dell’effetto emulativo da parte di altre aziende.