Skip to main content

Ecco perché l’immigrazione spaventa le due sponde dell’Atlantico. Parla Lubell

Dalla reciproca conoscenza della gestione dei fenomeni migratori, Stati Uniti ed Europa possono apprendere molto e, forse, lasciarsi alle spalle alcune delle fibrillazioni d​egli scorsi mesi. Ne è convinto David Lubell, fondatore e direttore di Welcoming America, non profit che si è fatta rapidamente conoscere in giro per il mondo. Nata​ nel 2009​ ad Atlanta​, Georgia, l’organizzazione si è da subito caratterizzata per un’attività dirigenziale creativa e un approccio innovativo a queste tematiche, incentrato sui “benefici, anche socio-economici, legati alla creazione di una cultura di accoglienza”. Lubell – venuto recentemente in Italia per un breve tour di incontri che ha toccato Roma (dove è stato anche alla Comunità di Sant’Egidio), Milano e Palermo – ha parlato con Formiche.net della propria esperienza, della fase di cambiamenti epocali nella quale viviamo e dei problemi ad essa correlati.

LA SFIDA DELL’ACCOGLIENZA

Secondo il direttore di Welcoming America, che per ragioni di studio ha precedentemente speso un anno nel nostro Paese e che punta ad aprire presto nuove sedi in altre nazioni, “l’immigrazione è innanzitutto un problema emotivo per le nazioni che la sperimentano, perché tocca aspetti fondanti di una comunità come l’economia, l’identità, la paura”. Gestire il fenomeno, spiega Lubell, “è difficile ovunque, anche oltreoceano, dove si assiste alla crescita di un clima negativo su questa materia”.
Semmai, sottolinea, “la grande differenza tra le due sponde dell’Atlantico sta nel fatto che negli Stati Uniti esiste una consolidata storia di immigrazione, anche se in questo momento ci sono paure in aumento, e gli Usa sono diventati schizofrenici quasi su quest’argomento. A volte ricordano che il Paese è stato costruito da migranti e sono accoglienti, mentre altre li rifiutano e tendono ad alzare barriere. Sono ciclici in qualche modo”.
L’Italia, crede Lubell, “ha sicuramente un atteggiamento compassionevole nei confronti di chi cerca una vita migliore, ma non ha una grande storia di immigrazione e dunque si ritrova con più problemi di identità da affrontare. Gli italiani in genere sono accoglienti, ma è difficile per loro affrontare questa sfida, perché è un grande mutamento ed in quanto tale è difficile per qualsiasi società”.

LA PAURA DEL DIVERSO

Alla radice del ‘timore dell’altro’, per il fondatore di Welcoming America, “c’è, secondo molte ricerche, il fatto che il tasso di cambiamento ha un grande impatto su queste paure, ed ora in Italia questa percentuale è in aumento. La grande insicurezza economica diffusa sta rendendo ancora più difficile il processo di integrazione, ma un fattore veramente importante è che questo è un problema che si sta sviluppando molto velocemente e non c’è ancora nessuna politica che lo regoli e nessun ordine al flusso migratorio. Questo è qualcosa che va affrontato”.

​RICETTE DIFFERENZIATE

​Quanto alla gestione degli sbarchi a Lampedusa – se si guarda all’Italia – o dell’attraversamento dei confini​ col Messico – se si parla degli Usa, Lubell sottolinea che “il lavoro da fare è diverso in tutti gli stati. Non c’è un’unica ricetta perché ogni territorio ha differenti caratteristiche geografiche e sociali. Quello che noi facciamo – aggiunge – è fornire ai partner locali gli strumenti necessari ad affrontare l’immigrazione partendo da un concetto di ‘welcome’, di benvenuto, sulla base della consapevolezza che i migranti sono una risorsa anche dal punto di vista economico. Una volta dati questi strumenti, lasciamo però ai partner il compito di adattarli e renderli rilevanti rispetto al contesto locale, che può essere una cittadina rurale o una metropoli.

IL DIBATTITO SULLE ONG

Riguardo ​al dibattito italiano ed europeo sul​ presunto​ ​agire ​opaco ​delle organizzazioni non governative nella crisi dei migranti, Lubell spiega di avere “una prospettiva molto americana” su questo argomento. “Le ritengo una risorsa, non un problema. Ad esempio, negli Usa le Ong si assumono responsabilità e svolgono compiti ai quali dovrebbe adempiere lo Stato. Garantiscono in modi diversi la sicurezza sociale e costituiscono un asset importante per il governo. Quelle che operano in Europa non si comportano diversamente”.
Tuttavia, aggiunge Lubell, “la crescita dei fenomeni migratori convoglia sempre più risorse nelle casse delle Ong che si occupano di questi argomenti, attraverso campagne filantropiche, fondazioni e talvolta fondi governativi. Tutto ciò richiede per forza di cose una stretta sorveglianza sul loro operato. È necessario escludere le ‘mele marce’ dal cesto di quelle buone. Così come è indispensabile – e infatti esiste – che ci sia un meccanismo di controllo e di ‘punizione’ per quelle “mele marce” che tentano di fare profitto a spese delle istituzioni o dei cittadini. Serve per evitare che pochi malintenzionati gettino un’ombra sull’intera categoria, danneggiando la reputazione anche di quelle Ong, e sono tante, che lavorano bene”.



×

Iscriviti alla newsletter