Skip to main content

Elezioni in Gran Bretagna dal dopoguerra a oggi. Terza puntata

Thatcher

“L’inverno del nostro scontento” del 1978 non portò Riccardo III alla guida della Gran Bretagna degli anni Ottanta, ma ebbe un effetto dirompente sulla politica inglese. Scioperi, inflazione a due cifre ed estremismo sindacale furono le cause che portarono, il 3 maggio 1979, gli elettori britannici a dare la maggioranza al partito Conservatore con poco più di 2 milioni di voti – 13,6 milioni contro 11,5 – di vantaggio sui laburisti, al governo dal 1974. Margaret Thatcher diventava così la prima donna nella storia della democrazia britannica a essere nominata Primo ministro. Allora quasi nessuno pensò che si sarebbe trattato della premiership più rivoluzionaria della storia del Paese dal secondo dopoguerra in poi.

Per ottenere il mandato popolare e realizzare la sua rivoluzione – liberista e conservatrice – Thatcher non esitò a rivolgersi alla popolare agenzia di comunicazione pubblicitaria Saatchi & Saatchi, i due fratelli che da anni, proprio in riva al Tamigi nei pressi di Westminster, si erano avvicinati ai Tories, in crisi di consenso. Anche se può far sorridere pensarlo oggi, ma Thatcher era tutt’altro che una leader forte all’epoca. All’interno del partito i parlamentari Tories “one-nation” e fautori della “politica del consenso” – e che lei con disprezzo avrebbe chiamato wets, gli “smidollati” –  l’avevano scelta proprio per la sua mansuetudine. Mai errore di giudizio pesò di più nella storia del partito conservatore.

Detto questo, il fatto che una donna si candidasse a premier, era già una notizia. Il fatto che lo facesse in un partito tradizionalmente maschilista, dove i suoi membri più eminenti frequentavano club all-male, per soli uomini, era una notizia davvero eccezionale. James Callaghan, premier e leader del Labour giocò molto su questo fatto, smontando spesso le tesi di Thatcher e sminuendole sardonicamente, adducendo a una sua inferiorità in quanto donna. Gli andò male. L’immagine del dittatore ugandese Idi Amin arrivato a Heathrow con un cesto di banane da donare agli inglesi costretti a elemosinare un prestito al Fondo monetario internazionale per via delle scellerate politiche economiche laburiste, era sicuramente più scioccante di quella della casalinga di Grantham che voleva essere eletta per “gestire le finanze dell’Inghilterra come avrebbe gestito quelle di casa sua”.

Il disfattismo – Callaghan stesso disse una volta “se fossi un giovane emigrerei da questo Paese” – le pavide politiche di corteggiamento dei sindacati che usavano la minaccia degli scioperi e avevano portato il Paese in ginocchio e al collasso economico, spinsero gli inglesi a dare retta ai conservatori e alla loro leader, che prometteva di restaurare la grandezza della Gran Bretagna nel mondo. Un messaggio di volontà e di fiducia che si contrapponeva al caos totale, gestito, malamente, dai laburisti.

Labour isn’t working, il Labour non funziona, fu lo slogan coniato dai fratelli Saatchi per demolire le politiche socialisteggianti di Callaghan e del suo Cancelliere dello Scacchiere, Denis Healey. L’immagine usata nei poster era quella delle lunghe file dei razionamenti del dopoguerra.

Nella prima elezione che vide tre nuovi leader nei 3 principali partiti britannici – il leader liberale Thorpe fu al centro di uno scandalo e dovette dimettersi lasciando il posto a David Steel – tutti promisero tagli alle tasse sul reddito (income tax), ma solo Thatcher sembrava convinta delle sue idee.

Il giorno dopo, ricevuto l’incarico da parte di Sua Maestà la Regina Elisabetta di formare un nuovo governo, Margaret Thatcher si presentò a Downing Street. Non erano parole scespiriane a uscire dalla bocca nel nuovo premier ma quelle di un Santo, Francesco d’Assisi. “Dove c’è discordia, io possa portare armonia./Dove c’è la falsità/ io possa portare la verità./Dove c’è il dubbio/ io possa portare la fede/. Dove c’è la disperazione/ io possa portare speranza”. In realtà, la portata rivoluzionaria della sua azione di governo avrebbe provocato ulteriore discordia, senza la quale, probabilmente, il Regno Unito sarebbe marcito tra le banane di Idi Amin.

Terza puntata dell’approfondimento di Daniele Meloni. 

Prima puntata

Seconda puntata

 


×

Iscriviti alla newsletter