Le elezioni inglesi non hanno tradito le aspettative della vigilia. I Conservatori guidati da Theresa May vincono ma perdono.
Il tratto distintivo di questa tornata british, se si esclude l’uscita di scena dell’Ukip, è indubbiamente la tenuta dei Laburisti che impediscono il mantenimento di una solida maggioranza della destra, senza tuttavia riuscire ad imporsi.
Ciò significa un fatto immediato e una previsione quasi sicura. Il primo è la certezza che la strada per la premier vincitrice si fa impervia.
La seconda che ai Conservatori non resta che accogliere alcune delle istanze provenienti dai Liberali e dagli indipendentisti scozzesi per giungere alla maggioranza assoluta. Si tratta di un verdetto imposto dal rigido schema bipolarista britannico e dalla battuta di arresto dell’era post Cameron e post Brexit del radicalismo esclusivista inglese.
Che succederà al Paese e al partito di Winston Churchill è difficile dirlo. Di certo una maggioranza omogenea non c’è.
A palesarsi come dato incontrovertibile è la fine del voto identitario piglia tutto e la crisi dell’alternanza aut-aut nel Paese europeo che vanta la più lunga tradizione ideologica bipolare.
In fondo è un vantaggio e un segnale per Germania e Italia, democrazie nelle quali si formano e si formeranno nel futuro coalizioni necessariamente eterogenee.
Diciamo la verità. Questo mondo è troppo complesso perché ci sia una ricetta in grado di contentare tutti, di destra o di sinistra che sia.
Per cui, ferme restando le contrapposte identità storiche, è meglio condividere obtorto collo oneri ed onori insieme. Meglio, in definitiva, condividere qualche scelta giusta, mediata da tanti errori, tra diversi, piuttosto che sbagliare tutto da soli.
Il voto inglese dice questo: un’incertezza saggia come saggi sanno sempre essere i popoli che votano il proprio destino. È l’impasse, in fondo, di un bipolarismo politico troppo drastico per un presente senza riferimenti esaustivi.