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Ecco come l’Europa vuole rilanciare il progetto di una Difesa comune

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Sono passati 53 anni da quando il Piano Pleven per la Difesa comune europea veniva affossato dal voto contrario del parlamento francese. Era l’estate del 1954 e Alcide De Gasperi, uno dei padri fondatori dell’UE, in punto di morte sapeva che quella mancata ratifica “avrebbe ritardato di qualche lustro ogni avviamento all’Unione Europea”. In questi 54 anni l’UE ha fatto enormi passi avanti sul mercato comune, la mobilità e la liberalizzazione, e ha introdotto l’ormai contestatissima moneta unica. Ma la difesa comune non ha mai smesso di essere una bestia nera per Bruxelles. Affossato (ancora una volta con la complicità dei francesi) il Trattato costituzionale nel 2004, che prevedeva un rafforzamento nella cooperazione alla difesa fra gli Stati, resta ora soltanto l’art. 42 del Trattato di Lisbona, che però parla solo di “impegni” dei paesi membri a condividere le proprie risorse per le spese militari. Mercoledì 7 giugno la Commissione Europea ha pubblicato un paper sul futuro della difesa dell’Unione. In una lettera al Corriere della Sera il Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha spiegato perché il tema della difesa militare deve tornare in cima all’agenda di Bruxelles: “I tentativi di muoversi in direzione di una difesa comune sono stati parte del progetto europeo sin dal principio, ma finora queste ambizioni sono rimaste in gran parte insoddisfatte”, ricordando poi come l’assenza di cooperazione nel settore militare e della sicurezza costi ogni anno all’UE “tra i 25 e i 100 miliardi di euro”.

Un’esigenza, quella della sicurezza, che è sempre più percepita come prioritaria: un sondaggio di Eurobarometro riportato nel documento svela come in cima alle preoccupazioni dei cittadini UE ci siano immigrazione e terrorismo, ben al di sopra dell’inquinamento e del clima (nono e decimo posto), con buona pace degli ambientalisti che si battono per tener vivo il Coop21. Una struttura di difesa militare comune c’è: è la NATO, e ne fanno parte quasi tutti gli stati UE (eccetto Austria, Irlanda, Svezia e Finlandia). Ma l’ultimo summit in Belgio, quando i leaders europei, accusati di non contribuire al bilancio secondo gli impegni presi, hanno assistito ammutoliti ai rimproveri del presidente statunitense Donald Trump, ha chiarito una volta per tutte che l’UE, se vuole contare, deve trovare una via alternativa. Facile a dirsi, tutt’altra cosa è trovare la volontà politica e la capacità coercitiva per far spendere agli stati membri il necessario. Il documento della Commissione delinea tre scenari possibili per la nuova UE a 27, ma sono ancora tutti e tre scenari soft, che non prevedono la formazione di un esercito comune, richiamando semmai a un più stretto impegno con la NATO. Si passa dal caso di una semplice cooperazione fra gli stati membri, che si terrebbero per sé la responsabilità della difesa, a uno scenario che prevede la rigida applicazione dell’art. 42, cioè la nascita di una “difesa comune e di sicurezza”. Non è chiaro però con quali mezzi e quali strumenti finanziari si possa fare: nel paper, non a caso chiamato “documento di riflessione”, troppi condizionali e periodi ipotetici fanno intendere che si tratti più di una ricerca scientifica che di una precisa volontà degli stati membri.

C’è una novità però che apre a uno spiraglio di speranza: la presentazione del Fondo europeo per la Difesa. In funzione già per la fine del 2017, il Fondo sarà finanziato fino al 2020 per 90 milioni dal budget europeo, mentre 2 miliardi e mezzo arriveranno in parte da un cofinanziamento del budget totale, in parte dall’80% del budget degli Stati membri. Ricerca nel campo delle tecnologie innovative per la difesa e sviluppo di progetti e prototipi nel campo militare e della sicurezza, questi saranno i due capitoli di spesa del nuovo Fondo, che dal 2020 si stima possa generare un investimento totale di 5 miliardi e mezzo l’anno. Una prospettiva rosea per il mondo dell’industria militare europea, ma anche e soprattutto per le migliaia di PMI impiegate in quel settore, dove l’Italia vanta delle eccellenze. La spesa media per soldato dell’UE, come riporta il documento, è di 27.639 euro: meno di un quarto di quanto spendono gli Stati Uniti. Il progetto del Fondo è ambizioso e farebbe dell’UE uno dei centri di ricerca e sviluppo nella difesa più avanzati al mondo. Ma senza il rispetto dei pagamenti degli stati membri e una seria volontà politica, l’esercito comune che sognava De Gasperi e la cooperazione di intelligence contro il terrorismo che i cittadini chiedono a gran voce rimarranno ancora una volta una proposta priva di conseguenze.

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