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Perché servono genitori autorevoli. Le tesi dello psicologo Lancini

L’adolescenza è quel momento in cui nel giovane nasce il bisogno di sviluppare una propria identità, che ne porta a ridefinire il ruolo all’interno della famiglia, sottoponendo quest’ultima alle maggiori difficoltà del mestiere di genitore. L’ambiente sociale gioca in questo campo un ruolo fondamentale, e rispetto agli schemi del passato il passaggio dal “modello delle regole” a quello dello sviluppo della creatività è ormai una prassi consolidata e diffusa. Che però non elimina difficoltà e problematiche, ma al contrario le genera, e quando queste si presentano inducono i genitori a correre ai ripari, ritornando al “governo dei no che aiutano a crescere”.

Atteggiamento che i ragazzi interpretano come gesto sadico, che ne impedisce la crescita in autonomia e libertà, e il problema che allora si pone è: come fronteggiare i comportamenti patologici dei nostri giovani, in un tempo in cui si parla di educazione sessuale nelle scuole senza tabù ma dove esistono anche casi come quelli dei “ritirati sociali”, ragazzi che si chiudono in casa per un senso di vergogna legato ai concetti di popolarità, di rappresentazione di sé e del proprio corpo, di autostima e incapacità di farsi spazio in un contesto sempre più radicalmente competitivo e incapace di relazioni autentiche, cioè di coetanei e amici capaci di guardarsi negli occhi e di comunicarsi per ciò che sono. Vale a dire giovani pieni di sogni e speranze, alla ricerca di un senso da dare alla propria esistenza, di un cammino da percorrere, e soprattutto di reciprocità e di affetto, di gratitudine e di riconoscenza.

La risposta che ne dà nel suo ultimo libro uscito per Mondadori “Abbiamo bisogno di genitori autorevoli” lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, docente all’Università Milano-Bicocca e presidente della Fondazione Minotauro e dell’AGIPPSA, è: bisogna favorirne l’autonomia e la responsabilità senza lasciarli soli, in quanto i giovani hanno bisogno di adulti autorevoli assieme a cui definire il loro futuro. Oggi infatti ci si trova ad affrontare l’adolescenza in anni molto diversi dal passato, almeno da quelli vissuti da chi oggi è genitore, in cui si presentano cambiamenti numerosi e considerevoli. Sono infatti ben individuabili negli anni i fattori che hanno determinato almeno in parte questo percorso, racconta Lancini: dalla penicillina agli antibiotici per combattere le malattie veneree, dalle tecniche contraccettive al rovesciamento del modo di immaginarsi e di vivere la sessualità, fino a oggi, dove il tema della tecnologia la fa da padrone. E quindi subentra il mondo di internet, dello spazio social, di una condivisione costante e indefinita dove tutto si mescola, ma che tuttavia non rappresenta il centro della problematica, in quanto internet a volte può persino offrirne delle soluzioni creative.

Il nodo infatti sta altrove: nella società liquida di Zigmunt Bauman ma anche in quella della passioni tristi di Luigi Zoja. Nell’Homo Videns di Giovanni Sartori o persino negli Sdraiati di Michele Serra. Nella costruzione cioè di identità sempre più fluide e narcisistiche, che al di là del velo di apparenza creano contesti in cui si riproducono patologie nient’affatto trascurabili, riassumibili nell’immagine – che riporta l’autore – di una recita scolastica dove la totalità del pubblico composto dai genitori è impegnato nello scattare foto e selfie da condividere sui social, in un delirio di narcisismo patologico, e soprattutto sotto gli sguardi attoniti dei bambini che hanno lavorato per mettere in scena lo spettacolo, destinati tra qualche anno – commenta Lancini – a rinfacciare quella circostanza agli stessi genitori. A questo punto l’analisi si affaccia al bisogno di rimettere al centro la presenza dell’altro, contrapposta a chi non riesce a pensare che a sé, come è possibile scorgere in molti ambiti della quotidianità, dal centro commerciale alla metropolitana fino alla piazza o alla scuola. Tutti elementi che Lancini porta a esempio di rigorosa e appartata analisi psicologica per comprendere chi stiamo diventando, e chi forse già siamo.

Così accade che tutto ciò che è tradizione viene messo in discussione, e l’amore non esiste più se non nel senso narcisistico, “privo delle barriere architettoniche costruite dalle religioni e dalle dottrine morali”. Il che comporta però “parecchi fraintendimenti”, dalla messa in pratica dell’amore tra genitori e figli ai concetti di autonomia e dipendenza. Lancini passa così in rassegna gli ultimi decenni, dalle conquiste in termini di diritti civili degli anni ’60 alle innovazioni scientifiche, alle lotte su divorzio e aborto e la diffusione degli anti-concezionali che “hanno iniettato nelle vene sociali una dose di libertà mai circolata prima”, per cui “quando la coppia smette di amarsi o sente di non poter soddisfare il principio della felicità e del benessere individuale il rapporto si rompe e non c ‘è supplica che tenga, nemmeno quella dei figli”, al tema dell’omosessualità (e sullo stesso piano anche quello dell’omofobia) annodato però agli artifici creati dalla scienza e dalla tecnologia (e qui entra in gioco il tema della fecondazione assistita e della “generazione di figli in totale solitudine”), o della sessualità disgiunta dalla procreazione. Tutto questo non è mai oggetto di giudizio, ma viene messo in luce dallo psicologo come un dato di fatto. Che però necessita di essere attentamente valutato di fronte agli esempi – non infrequenti – in cui gli effetti risultano ben lontani dall’essere positivi.

Portando anche l’attenzione sul senso di colpa – e di inferiorità – percepito nel reputare sbagliati gli atteggiamenti delle mamme italiane se confrontate a quelle di altri paesi. “I piccoli si devono certo adeguare alle loro mamme e all’epoca in cui nascono, ma i loro bisogni primari sono veramente soggetti a una così radicale trasformazione?”, si domanda nel testo Lancini. “Legittimare qualsiasi comportamento dei bambini è pratica assai diffusa”, che però “si accompagna a non pochi rischi educativi”, come l’incremento esponenziale della fragilità narcisistica. Quella che “siamo ormai abituati a incontrare negli adolescenti contemporanei, tanto spavaldi, sprezzanti e spregiudicati verso gli altri e all’apparenza così sicuri di sé, quanto profondamente fragili nell’animo, bisognosi di uno sguardo di ritorno carico di approvazione e riconoscimento del proprio straordinario valore. Ragazzi e ragazze particolarmente sensibili rispetto al giudizio altrui, a ciò che gli altri pensano di loro”.

La cui madre fisicamente assente diventa una “madre virtuale”, l’evoluzione di quel “padre simbolico” di cui “si sono perse le tracce da anni”. Così accade che davanti alle difficoltà adolescenziali “gli adulti arretrano e si rifugiano in modelli educativi propri della loro adolescenza. Ma tutto ciò, come credo sia evidente – è la tesi centrale della riflessione intrapresa da Lancini – non sta funzionando”. La difficoltà dell’adulto odierno è in definitiva quella di “individuare una modalità affettiva e relazionale” adatta a “bambini adultizzati e adolescenti infantilizzati”, come li descrive l’autore: “A loro, in attesa di ulteriori cambiamenti, dobbiamo offrire una relazione affettiva, uno sguardo di ritorno, un approccio più attuale, diverso da quello che ancora troppo spesso governa la nostra quotidianità”

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