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Ora il Qatar ha una lista di cose da fare per uscire dall’isolamento

Arabia Saudita, Emirati Arabi e gli altri paesi del Golfo che da due settimane hanno isolato il Qatar, hanno passato a Doha – tramite il Kuwait, che in questo contesto sta facendo da mediatore – una lista di cose da fare affinché l’isolamento finisca. C’è anche un ultimatum, dieci giorni, perché vengano ristabiliti i rapporti, ma viste complessivamente e così come sono state poste, difficilmente il Qatar accetterà di adottare le condizioni richieste.

LA LISTA E I PROBLEMI

La lista, che l’Associated Press (che per prima ne ha ottenuto una copia) definisce “eccessiva”, dice che per mettere fine alla crisi diplomatica il Qatar deve: chiudere al Jazeera, interrompere le relazioni diplomatiche con l’Iran, tagliare ogni genere di rapporto con la Fratellanza Musulmana, rifiutare la presenza militare turca sul proprio territorio. Questi i più importanti dei 13 punti richiesti. Un paio, almeno, sono irrealizzabili, a partire dai rapporti con Teheran. Il motivo principale per cui Doha mantiene relazioni cordiali con la Repubblica islamica è collegato all’elemento fondamentale delle proprie entrate economiche, che ha reso il Qatar una potenza finanziaria internazionale: il South Pars, il più grande campo gasifero del mondo, che si trova a cavallo del Golfo Persico, ed è condiviso tra i due paesi. E per mantenere in piedi una relazione così strategica, non ci si può fermare al semplice rapporto commerciale come richiesto nella lista.

VIOLAZIONE DI SOVRANITÀ?

Altro problema sarà chiudere al Jazeera (e smettere di finanziarne alcuni, tipo Arabi21 e Middle East Eye): il media network internazionale è sia un elemento economico che un asset strategico. Doha ha già detto che non se ne parla, sarebbe una violazione di sovranità. E proprio qui sta il punto: il blocco isolante chiede che il Qatar si allinei sul Gulf Cooperation Council, e dunque interrompa la postura propria creata negli anni a seguire il 1995, quando il padre dell’attuale emiro iniziò ad affrancarsi dalla dipendenza saudita.

SUL TERRORISMO

Al Qatar viene anche chiesto di interrompere i discutibili rapporti che ha in piedi con alcuni gruppi della galassia islamica combattente (per esempio, l’ex al Nusra siriana, la palestinese Hamas, o i Talebani afghani) e di consegnare ogni genere di informazione in possesso su elementi di spicco di di queste organizzazioni rifugiati sul proprio territorio (ce ne sono e non sono pochi). Formalmente sauditi ed emiratini – che guidati dalle nuove generazioni delle dinastie regnanti, con la crisi qatariota hanno avviato la nuova linea più assertiva ed aggressiva nelle regione – incolpano Doha di avere contatti e di dare finanziamenti al terrorismo. ‘Il Qatar finanzia il terrore’, è l’accusa alzata da Riad e Abu Dhabi a cui il presidente americano Donald Trump ha fatto eco.

RICHIESTE RAGIONEVOLI, CHIEDEVA WASHINGTON

Da notare che la to-do-list è stata passata al Qatar il giorno dopo che il segretario di Stato americano Rex Tillerson aveva chiesto ai paesi del Golfo di sbrigarsi nell’avanzare richieste “ragionevoli e attuabili” per portare tutto verso una de-escalation. Il dipartimento di Tillerson media per l’America la crisi politica regionale che s’è innescata, anche perché dalla Casa Bianca manca una strategia chiara su come gestire la situazione – e, nazionalismi da campagna elettorale a parte, Washington un ruolo di stabilizzazione vuole e deve giocarlo, sia per il rinnovato spirito con cui ha ripreso le relazioni con sauditi ed emiratini (ma anche con con gli egiziani, che sono tra i paesi isolanti), sia perché in Qatar si trova la principale base militare mediorientale americana (che ospita 10mila soldati statunitensi), sia perché un altro alleato regionale americano, la Turchia, è coinvolto al fianco di Doha.

 



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