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Tutti gli orrori chimici di Assad in Siria

Davvero ha ragione il dottore Shajul Islam? Lui, impegnato a soccorrere le vittime di attacchi chimici in Siria, ha postato su facebook un video nel quale lo si vede mentre è in corso uno dei tanti disperati tentativi di dare soccorso ai siriani gasati. Quel video finisce con queste parole: “al mondo non interessa”. Ha davvero ragione?

Lasciamo stare per un momento il mondo. Pensiamo a noi. A noi interessa? Ci interessa sapere che emergono elementi sempre più inquietanti sulla possibile responsabilità del regime di Bashar al-Assad nell’attacco chimico di Khan Sheikun, alle porte di Idlib, di poche settimane fa? Ci interessa sapere che questi elementi provengono da scienziati siriani che hanno lavorato per anni al programma di produzione dei componenti del gas sarin per conto del regime di Damasco? Ci lascia del tutto indifferenti che costoro avrebbero fornito all’intelligence francese la cosiddetta “prova del nove” sull’origine del gas impiegato in quell’attacco?

Circostanziato, agghiacciante, il report di stampa è stato pubblicato in Francia da René Bakmann su Mediapart e ripreso in Italia dal media partner L’Espresso. Ma poco si è letto al riguardo. Intervistati a lungo, scrupolosamente, gli scienziati affermano che nel 2009, quando il suo omologo e “alleato” Ahmadinejad veniva contestato nelle strade di Teheran, il presidente siriano decise di avviare un processo di produzione di gas sarin: lui, personalmente! Si legge nel servizio de L’Espresso: “Sette basi militari siriane sono state equipaggiate con depositi dove immagazzinare i componenti usati per creare il sarin, un gas privo di odore e colore, che può causare la morte in pochi minuti paralizzando il sistema nervoso e quello respiratorio. Non solo. Secondo quanto scrive Mediapart, il piano ha portato anche alla realizzazione di strutture dove produrre bombe e munizioni chimiche. Gli stessi scienziati che hanno rivelato queste informazioni sostengono che nel giugno del 2011, poco dopo l’inizio della guerra civile e la prima diserzione da parte di un ufficiale dell’esercito, il regime ha ordinato ai responsabili dell’arsenale segreto di produrre delle armi chimiche di piccola taglia: granate, razzi e proiettili. Secondo un rapporto dell’intelligence francese, tra l’ottobre del 2012 e l’aprile di quest’anno i gas tossici sono stati usati 130 volte in Siria. L’ultima di queste, il 4 aprile a Khan Sheikhun, nella strage che ha causato 88 morti, fra cui 31 bambini, si è trattato proprio del sarin. Lo sostiene la Francia grazie alle informazioni fornite dagli scienziati siriani in esilio. L’articolo di Mediapart spiega infatti che alcuni esperti intervistati dal giornale hanno rivelato anche alle autorità francesi i segreti del sarin siriano. Informazioni tecniche sulla composizione specifica del gas, che hanno permesso al governo di Parigi di riconoscere con certezza la responsabilità di Assad nella strage di Khan Sheikhun. E che potrebbero essere usate contro di lui, un giorno, in un eventuale processo per crimini di guerra davanti alla Corte Internazionale de L’Aia”.

Quando si sono verificati i più clamorosi “episodi” di uso di armi chimiche contro inermi civili siriani da più parti si è detto: “Dove sono le prove che è stato Assad?” “Chi ci dice che sia stato lui e non i suoi nemici?”. Legittime preoccupazioni di non cadere in un tranello ordito magari dai veri responsabili. Non è il momento di temere che Assad abbia usato i nostri timori per coprire le sue malefatte? E dunque non dovremmo tutti convenire che si debba andare a fondo, e sapere tutto quel che sanno i francesi, subito?

Tutti noi sappiamo che dal 2013 che in Siria si susseguono massacri chimici: si può immaginare che quanto emerge dall’inchiesta francese non ci riempia di inquietudine, angoscia? Infatti non sappiamo tutto, ma sappiamo molto, da anni: sappiamo con precisione e cura come nelle carceri siriane siano stati commessi crimini contro l’umanità. Nel rapporto del team dell’alto rappresentante delle Nazioni Unite per i Diritti Umani giuristi di fama internazionale, tra i quali Carla Del Ponte, parlano di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità perpetrati nelle prigioni siriane. Il rapporto è stato pubblicato il 3 febbraio del 2016 e comincia così: “Nella Repubblica Araba di Siria violenze sistematiche e di massa – comprendenti l’assassinio dei detenuti in centri di detenzione ufficiali – hanno avuto luogo in segretezza, lontano dal campo di battaglia. Questo documento esamina le uccisioni di detenuti avvenute tra il 10 marzo 2011 e il 30 novembre 2015. I suoi risultati si basano su 621 interviste, come anche su consistente materiale di documentazione. Detenuti sotto custodia del governo siriano sono stati picchiati a morte, o sono morti di ferite dovute a torture. Altri sono morti a causa di inumane condizioni di detenzione. Il governo siriano ha commesso il crimine contro l’umanità di sterminio, assassinio, stupro, o altre forme di violenza sessuale, tortura, sparizione forzata e altri atti inumani. A causa della medesima condotta, sono stati commessi anche crimini di guerra”.

Tutto questo dal 2016 a oggi non ha avuto un grande impatto su di noi. Eppure leggere queste accuse e leggere poi la storia del temuto “comignolo” del penitenziario di Saydnaya avrebbe potuto farci temere. Ora apprendiamo buona parte delle rivelazioni di scienziati siriani sulle armi segrete, prove definite “inconfutabili” sul loro impiego, nel caso di specie a Khan Sheikun. Ma se tutto questo ci lasciasse davvero indifferenti, se avesse ragione il dottor Shajul Islam, la tragedia più grave riguarderebbe i siriani o riguarderebbe noi?

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