Leggendo in controluce gli articoli appena approvati, ne esce una legge proporzionale che punta a far eleggere rappresentanti ai partiti, senza molti margini di scelta per gli elettori. A rigore, sarebbe una impostazione correttissima. Nell’impianto della nostra Costituzione, che delinea una repubblica parlamentare fondata sulla rappresentanza dei partiti.
Ma le cose oggi sono diverse dal 1947. Innanzitutto perché l’idea di allora era di un proporzionale senza sbarramenti. Per portare in Parlamento il numero più ampio possibili di voci del pluralismo.
Oggi invece lo sbarramento al 5% – unico elemento “alla tedesca” ancora presente in questa legge – tronca in maniera drastica il pluralismo tipico del nostro paese. Per cui rischiamo di avere nel prossimo parlamento 4 o 5 partiti al massimo.
Ma c’è una considerazione che fa riflettere ancora di più. Oggi i partiti hanno ormai perso gran parte del loro ruolo di rappresentanza, per ragioni di evoluzione storica. Eppure se in questa legge mantengono in maniera molto forte il compito di scegliere gli eletti. Anzi lo fanno ancora crescere: fra collegi uninominali e liste bloccate gli onorevoli saranno tutti indicati dalle segreterie dei partiti, con una scelta da parte degli elettori ancor più limitata di quanto sarebbe stato nel c.d. Italicum.
Come è possibile? Semplice. Perché la legge nasce da un accordo dei maggiori partiti oggi presenti in Parlamento, i quali hanno scelto – potremmo dire ovviamente – un modello che valorizza il loro stesso ruolo. Per quanto anacronistico.
Peccato che in questo modo eleggeremo un Parlamento ancora più anacronistico. Che rappresenta partiti ormai sbiaditi e non certo i cittadini e la società.