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Il Qatar e gli effetti della svolta di Trump anti Iran

La scelta voluta da Arabia Saudita, Egitto, Bahrein, Emirati Arabi e Yemen di rompere i rapporti diplomatici con il Qatar difficilmente poteva passare inosservata. Sia dal punto di vista politico, che da quello religioso ed economico, si tratta indubbiamente di uno strappo forte, dai contorni incerti e, per ora almeno, di non facile soluzione e comprensione.

La giustificazione ufficiale si collega all’escalation dei fenomeni terroristici in Europa e nel Nord Africa, segnati non soltanto dai torbidi di Manchester, di Londra e del Cairo ma dai continui ritrovamenti di ordigni e di basi logistiche un po’ ovunque. Sembra, in effetti, che adesso il confine europeo di questa guerra veda l’Inghilterra in prima linea, come lo era stata la Francia nelle settimane precedenti.

La gravità di tale campagna militare è legata all’imprevedibilità, in modo tale da cominciare a destare preoccupazione e diniego anche nel fronte sunnita, da sempre piuttosto restio a prendere posizioni concrete e nette in questo senso, sebbene poco propenso anche a trovare qualche guadagno in una violenza tanto irrazionale e turpe da danneggiare gli affari occidentali. Il Qatar, concretamente, è stato accusato di essere finanziatore dei Fratelli Musulmani in Egitto e in Siria, ma, a ben vedere, tale giustificazione pare essere una coperta troppo stretta per abbracciare tutto.
Quello che si nasconde in profondità, probabilmente, è una rottura del Paese incriminato con la linea saudita, che si trova ad essere minacciata dal flirt che il Qatar continua ad alimentare con l’Iran. In questo scenario, l’influenza di Donald Trump è stata sicuramente decisiva, soprattutto perché il presidente degli Stati Uniti ha chiaramente invertito la rotta delle sue alleanze, tornando, dopo otto anni di politica filo sciita di Barak Obama, ad appoggiare l’Arabia Saudita e i tradizionali alleati americani del Golfo.

La contrapposizione degli Usa all’Iran è tuttavia tanto chiara quanto contraddittoria, pensando soltanto che il governo di Teheran può essere accusato di tutto, ma certo non di sostenere l’Isis, contro cui Russia, Turchia e Siria si avvalgono direttamente dell’appoggio di Al Khamenei.

È lampante, ad ogni buon conto, che la potenza arabo-sunnita sta mostrando le sue prime vere difficoltà di fronte ad un intensificarsi degli atti terroristici in Occidente che finiscono per danneggiare gli interessi sauditi.

In aggiunta è molto chiaro quale sia il nucleo essenziale della linea Trump. Ognuno deve risolvere i problemi a casa sua e, soprattutto, deve evitare di crearne agli altri. In un conflitto che vede ormai lo Stato Islamico andare verso una sconfitta territoriale in Iraq e in Siria, questi continui attacchi a civili nel cuore dell’Europa sono un danno per tutti, essendo degli spasmi di un’agonia che diventa intollerabile anche dal punto di vista religioso, oltre che da quello economico e politico, per un universo sunnita che rischia di restare tagliato fuori dal tavolo dei negoziati internazionali.
Tutti si aspettano nel prossimo futuro il periodo più duro di tempesta terroristica, e, perciò, tutti si preparano a quello che verrà dopo. Vi è il rischio, in effetti, che il fronte di guerra, eliminato definitivamente Daesh, si aprirà all’interno del grande universo sunnita, tradizionalmente più politico ed economico che religioso, e che gli effetti della svolta anti iraniana di Trump si determinino in modo esplicito a favore di Israele e di un ruolo diplomatico cruciale degli Stati Uniti, nel preciso momento in cui si dovrà definire il destino complessivo della Siria e della Turchia, all’interno del ginepraio inestricabile della realtà mediorientale.

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