Skip to main content

Quanti sono (e dove sono) i beni sequestrati alle organizzazioni criminali

infocamere, marca da bollo, Pmi

Cresce il numero di aziende e patrimoni sottoposti a sequestro o confisca. La relativa gestione si configura sempre di più come una risorsa strategica per economia e occupazione, mentre il modello giuridico e organizzativo italiano fa scuola in Europa. Al 31 dicembre 2016 le imprese sequestrate identificate nel Registro Imprese sono oltre 17.838, di queste 10.329 sono attive, con un totale di quasi 250mila addetti e un valore di 21,7 miliardi, secondo i dati di Infocamere diffusi ieri al convegno di EY “Beni sequestrati alle organizzazioni criminali: quanti sono, dove sono. Proposte concrete per una gestione efficiente”, all’Acquario Romano.

LAVORARE SULLA PREVENZIONE GRAZIE AI DATI

Il valore cumulato della produzione delle imprese sequestrate e attive è di 21 miliardi. I beni sequestrati dunque possono rappresentare una enorme risorsa per la collettività, generando ricavi e lavoro, ma a tal fine sono indispensabili dati dettagliati sui beni e un sistema efficace di collaborazioni tra le istituzioni coinvolte. Per questo, ha detto Paolo Ghezzi (in foto), direttore generale Infocamere, “dobbiamo lavorare molto in prevenzione e far sì che non si arrivi al fallimento”. Nel biennio 2015-2016 sono stati 2.829 i beni immobili confiscati e destinati dall’Agenzia nazionale e 280 le aziende confiscate e destinate dall’Agenzia. Ma qual è la tipologia di queste imprese e come sono distribuite nel territorio? Sempre secondo i dati di Infocamere, le società di capitale sono il 73% delle imprese sequestrate, il 14% in Lombardia il 16% Campania e Lazio, il 14% in Sicilia, ma la tendenza è quella di spostarsi verso Centro e Nord Italia. I settori più battuti sono come è noto le costruzioni, per il 15%, mentre le attività manifatturiere (9%) registrano una crescita. “Se i dati sui sequestri fossero più strutturati avremmo maggiori informazioni in tempo reale”, ha detto Ghezzi, che ha illustrato i sistemi già attivi in questo senso: “Abbiamo creato un servizio che permette di monitorare le imprese con cui le aziende confiscate hanno crediti ed essere avvertiti se cambiano società o se hanno procedure giudiziarie in corso; abbiamo tutti i bilanci delle società, e grazie a un programma possiamo visualizzare con un click le ramificazioni e i legami delle società”. Individuando alcune parole chiave nei dati, inoltre, è possibile cercare velocemente le imprese sequestrate all’interno del Registro.

CREARE UN ECOSISTEMA DI SOGGETTI INTERCONNESSI

“Il tema è cruciale, dal punto di vista giuridico siamo il paese più avanti in Europa, anche se restano ancora molte cose da fare dal punto di vista legislativo, ha detto Dario Bergamo, partner, Mediterranean Government & Public Sector Leader, EY, che ha aperto i lavori. “Una gestione efficiente dei beni confiscati è un asset strategico per il rilancio economico del paese, non è una questione ingombrante da gestire, ma un’opportunità. Il tema è talmente articolato, anche per la varietà dei soggetti coinvolti, che si è creato un vero e proprio ecosistema. La gestione delle informazioni e dei dati, ancora da completare, consente monitoraggi specifici e gestioni più consapevoli della eterogeneità delle imprese e dei territori”.

OBIETTIVO: RESTITUIRE ALLA SOCIETA’ RISORSE ACQUISITE ILLEGALMENTE

Mario Morcone, capo di gabinetto del ministero dell’Interno, ha sottolineato la funzione sociale della confisca e della gestione dei beni sottratti ai sodalizi criminali: “Non è solo un problema da affrontare, ma significa esercitare una funzione sociale. Aggredire le ricchezze accumulate dalle mafie vuol dire privarle della possibilità di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale e agevolare la sicurezza economica e il rispetto degli equilibri di mercato. L’uso sociale dei beni, inoltre, produce un effetto negativo sul consenso nei confronti delle organizzazioni criminali e del loro potere di attrazione, e restituisce alla società risorse acquisite illegalmente. La partita si gioca sulla capacità dello Stato di rendere più rapida la assegnazione dei beni, destinandoli direttamente alle associazioni”, ha proseguito, “o attraverso la vendita. Ma la vera sfida dello Stato nazionale è restituire alla società le aziende in condizioni di legalità”.

IL SISTEMA ITALIANO MODELLO PER L’EUROPA

La buona notizia è che il sistema italiano di confisca dei beni illeciti è un esempio positivo in Europa, come ha sottolineato Fabrizio Santaloia, National Leader Fraud Investigation & Dispute Services (FIDS), EY, che ne ha illustrato i cinque punti di forza, secondo Transparency International: “La grande esperienza maturata, la flessibilità, l’indipendenza e la bassa discrezionalità, la bassa vulnerabilità e la finalità sociale, che prevede che il bene sia riutilizzato a beneficio della società. Elementi, questi, che rappresentano la condizione necessaria per una gestione efficace e efficiente dei beni. Il processo di recupero di un bene confiscato è come un’operazione chirurgica: richiede competenze specialistiche messe in campo da più attori, per estirpare il male e riportare il paziente in salute”.

I “MODELLI DI BUSINESS” DELLE IMPRESE CRIMINALI

Ernesto Savona, direttore Transcrime, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha poi aggiunto ulteriori elementi alla mappatura delle imprese criminali, che investono in modo crescente nei settori emergenti come le energie rinnovabili – soprattutto eolico -, nella distribuzione di gas e caburanti – in particolar modo in Campania e Sicilia – itc e consulenza; trasporti, logistica e grande distribuzione organizzata. Mentre i modelli di business rimangono il riciclaggio (con la variante dell’investimento produttivo), il controllo del territorio e lo scambio politico-criminale, il tutto foraggiato da “corruzioni ed estorsioni, scatole vuote o svuotate durante le indagini e un’esasperazione dei vizi del capitalismo italiano: relazioni, rendite, basso livello tecnologico e basso valore aggiunto”.


×

Iscriviti alla newsletter