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Cosa cambia dopo le parole di Sessions su Russiagate, Trump e Comey

Martedì Jeff Sessions, il segretario alla Giustizia americano, ha testimoniato davanti all’Intelligence Committeee del Senato che si sta occupando del Russiagate, l’operazione orchestrata da Mosca per interferire nelle elezioni presidenziali statunitensi. La commissione sta indagando su quanto successo insieme alla gemella della Camera e all’Fbi, che è l’organo che si occupa del controspionaggio ed è sotto la giurisdizione del dipartimento di Giustizia, dunque di Sessions. L’inchiesta sta cercando di capire se, oltre alla tentata interferenza russa (che secondo una notizia di Bloomberg ha colpito anche 39 sistemi elettorali in altrettanti stati) e alle attività per screditare la candidata democratica spinte da un piano di cyber attacchi studiato dal Cremlino, ci siano stati contatti e collusioni tra uomini della campagna Trump e i servizi segreti russi che si sono occupati del dossier.

LA RICUSAZIONE DI SESSIONS

Per esempio, il segretario Sessions è stato costretto a ricusare egli stesso dall’inchiesta (cioè a non occuparsi di niente che riguarda quell’indagine) perché potrebbe aver mentito al Senato, durante un’audizione di conferma, a proposito di alcuni contatti avuti con l’ambasciatore russo Sergei Kislyak – uno degli uomini chiave del Russiagate – ai tempi della campagna elettorale; a Sessions gli fu chiesto se si era visto con funzionari russi per parlare delle elezioni, lui rispose, articolando, di no. La notizia dei suoi contatti con il diplomatico russo era stata diffusa dalla stampa, e Sessions per mettere a tacere le polemiche aveva scelto il passo indietro. Anche per questa ragione, l’indagine federale è stata affidata a Robert Mueller, uno special counsel del dipartimento che la sta coordinando: in questi giorni si parla di lui anche perché sembra che il presidente americano Donald Trump non sia troppo contento del suo lavoro (a esplicita domanda, Sessions ha negato questo aspetto).

“BUGIE ODIOSE

Sessions durante la sua dichiarazione spontanea ha definito le accuse che lo avevano portato alla ricusazione “bugie odiose”, e ha confermato questa linea durate le domande dei suoi (ex)colleghi senatori. Mentre negava ogni genere di coinvolgimento, ha accompagnato molte delle sue risposte con dei “non ricordo”: anche a proposito dei suoi contatti contatti con Kislyak, sostenendo di aver incontrato tante persone durante la campagna elettorale, e di non potersi ricordare di tutte. Vale la pena ricordare che la linea difensiva del segretario su questo aspetto è: riconosco di aver visto in ambiti pubblici Kislyak per due volte (tre, sostengono gli insider informati sui fatti che hanno parlato con i giornali, ma lui nega il terzo incontro che dovrebbe essere avvenuto ad aprile del 2016 al Mayflower Hotel di Washington), ma non ho mentito al Congresso, perché quando ho risposto alle domande lo ha fatto in modo circostanziato e i miei incontri con l’ambasciatore russo rientrano nella routine di un senatore non nella pianificazione di un complotto sulle presidenziali. Quando il leader democratico della commissione, Mark Warner, gli ha chiesto di raccontare che genere di conversazioni aveva avuto con il presidente a proposito del Russiagete, per esempio sulla sua ricusazione, Sessions s’è rifiutato di rispondere, sostenendo che quelli erano dialoghi riservati su cui il presidente avrebbe, “in futuro”, potuto anche richiedere il diritto alla segretezza, e dunque non era il caso parlarne.

LA VICENDA DI COMEY

Sessions non ha chiarito molto sul suo coinvolgimento sul licenziamento dell’ex capo dell’Fbi James Comey, anche qui alzando il muro del vincolo di riservatezza. Comey è stato esautorato per ragioni legate all’inchiesta sulla Russia, ha ammesso Trump, nonostante il dipartimento di Giustizia avesse fornito un’altra ricostruzione. Warner ha chiesto a Sessions se con il presidente avevano parlato di questa ambiguità, ma il segretario non ha voluto rispondere Ci sono state anche domande sulle relazioni tra l’ex direttore dell’Fbi e Sessions, che hanno girato in particolare sulla deposizione dell’x capo del Bureau della scorsa settimana. Comey ha accusato Trump di aver tenuto un comportamento non irreprensibile a proposito dell’indagine, avendogli anche chiesto di non calcare su alcuni filoni, e ha detto di non aver trovato sponda utile nel dipartimento. Sessions ha ammesso di aver ricevuto aggiornamenti sulla situazione da Comey, anche a proposti di quelle sue preoccupazioni sul comportamento di Trump, ma di avergli invece rassicurato la copertura del dipartimento, invitandolo ad agire nel modo che riteneva più consono.

IL RUOLO DI SESSIONS ALLA CORTE DI TRUMP

Sessions era uno dei più intimi alleati politici di Trump, il senatore che ha sdoganato il candidato repubblicano, dandogli per primo il suo appoggio pubblicamente. Lo ha sostenuto in campagna elettorale, ed è stato uno dei primi ministri incaricati (anche se la sua approvazione congressuale è stata lunga, per via di alcune posizioni razziste su cui i congressisti hanno voluto vederci chiaro). Attualmente però il segretario è sceso un po’ di ruolo nell’inner circle. Oltre alla gestione del Russiagate – Trump pare non abbia troppo apprezzato la ricusazione, hanno detto le solite fonti anonime ai media americani –, il presidente incolpa il dipartimento per il disastroso incedere del travel ban, l’ordine esecutivo su ingressi e immigrazione, che non solo è stato bloccato da alcune corti federali, ma quel blocco è stato confermato come “incostituzionale” per due volte da altrettante corti statali, creando il presupposto per la demolizione del decreto.

(Video: Senate Intel Committee, Jeff Sessions a destra, durante una delle domande di Mark Warner)

 


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