Venerdì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha scritto due tweet con cui ha smentito sé stesso, poi, più tardi, è andato da “Fox and Friends” e ha sistemato un pezzo al posto giusto per chi sta cercando di chiudere il puzzle della sua eventuale ostruzione alla giustizia. Andiamo con ordine.
L’ALLUSIONE DI MAGGIO
Intorno alle tre del pomeriggio (ora ora locale) del 22 giugno, Trump ha scritto su Twitter: “Non ho idea se ci siano audio o video della mie conversazioni con James Comey, ma io non ho fatto e non ho alcun tipo di registrazioni”. Si ricorderà che questa storia si aggancia a un’altra, che adesso sappiamo è stata completamente creata dal presidente: quando Trump esautorò Comey da capo dell’Fbi (l 9 maggio), e si sono iniziati subito a dipingersi vari scenari dietro al licenziamento, aveva scritto – sempre su Twitter – che “Comey avrebbe fatto bene a sperare che non ci fossero registrazioni dei loro incontri”. Sembrava quasi alludere a un qualche sistema di telecamere o microfoni nello Studio Ovale – di nixoniana memoria – con cui il presidente teneva traccia dei propri contatti personali; sarebbe una roba piuttosto grave, fosse vera.
LE CERTEZZE (SUFFICIENTI)
Da Venerdì sappiamo (con il grado di certezza che le dichiarazioni di Trump hanno: sufficiente) che questa storia costruita dal presidente stesso è (sufficientemente) falsa e altro non è stato che un tentativo di fare il bullo e fare pressioni sullo stesso Comey. Questi due aspetti li sappiamo com migliore certezza perché sono deducibili dalle stesse parole di Trump, dette più tardi sulla Fox quando era ospite di uno dei suoi programmi preferiti (dove non presenziava però da tempo, anche per fargli evitare esposizioni pubbliche potenzialmente dannose in questo momento critico – e infatti).
QUANTO SONO IMPORTANTI I TWEET DI TRUMP? (MOLTO)
“Quando ha saputo che forse il nostro incontro era stato registrato, credo che abbia cambiato versione. Di certo non è stata una mossa stupida” ha spiegato Trump sulla Fox a proposito della sua vecchia dichiarazione. Un passo a lato, prima di andare avanti, per aiutare chi tra i lettori dovesse pensare, ancora nel 2017, che l’account Twitter privato del presidente non è il luogo da cui possono arrivare dichiarazioni pubbliche formali e considerevoli. Adesso, oltre che i fatti e le conseguenze di quei tweet, c’è una sentenza che arriva direttamente dalla Casa Bianca. Venerdì 23 giugno, dopo i due tweet sulla non-presenza delle registrazioni, il responsabile legale di White House, Marc Short, ha inviato una lettera alla Commissione Intelligence della Camera – che sta indagando insieme alla gemella del Senato e ad altre due commissioni il lato politico dell’inchiesta Russiagate, di cui l’Fbi approfondisce gli aspetti penali. Short, che con la missiva con cui rispondeva a una richiesta della commissione stessa datata 9 giugno (fra un po’ si scopre che questa data non è casuale). L’House Intel Committee chiedeva se c’erano sistemi di registrazione nello Studio Ovale (come alludeva Trump in quel tweet di un mese prima). Venerdì la risposta del consigliere della Casa Bianca è stata “a proposito della vostra richiesta, riferiamoci a quello che ha detto il presidente su Twitter”: poi di seguito il virgolettato dei cinguettii. Fine nota, avanti.
I PERCHÉ, NEL CONTESTO
Perché quello che è successo è importante? Attorno al mondo Trump e alla sua vittoria elettorale, ruota l’inchiesta che con semplificazione giornalistica prende il nome di “Russiagate”. Si analizza l’influenza russa sulle elezioni (che da qualche giorno è più evidente, dopo che il Washington Post ne ha registrato tutta la cronologia in un grande articolo che parla dell’amministrazione Obama alle prese col “crimine politico del secolo”). Poi si cerca di verificare le eventuali collusioni degli uomini di Trump col piano del Cremlino. Ora tra gli obiettivi di questa grandiosa indagine c’è anche stabilire se il presidente ha cercato di ostruirla mettendosi di traverso al corso della giustizia.
L’AUTO FLAGELLAZIONE DEL PREZ
L’intera inchiesta è affidata a un procuratore speciale, Robert Mueller, sulla cui storia c’entra l’allusione di Trump alle registrazioni con Comey. Nei giorni successivi a quel tweet avvelenato, l’ex direttore decise di far uscire la notizia che era lui ad avere dei report scritti su quelle conversazioni – e che in una almeno Trump aveva cercato di mettersi d’intralcio nell’indagine per scagionare il suo ex collaboratore Michael Flynn. I memo scritti da Comey non sono un’assoluta novità: gli agenti dell’Fbi lo fanno quando lo ritengono necessario per il procedere dell’investigazione, sono stati addestrati a farlo, e sono considerati un elemento provante nei processi (anche perché sono redatti con sopra uno speciale timbro non rimovibile e non replicabile che riporta data e ora). La decisione di Comey di parlarne (indirettamente) alla stampa si portava dietro una ragione: attirare l’attenzione sulla vicenda al punto da indurre il dipartimento di Giustizia ad affidare l’indagine a uno special consuel con ampi poteri, che potesse indagare sopra alle parti che erano troppo coinvolte. Così è andata, e anzi Mueller sta investigando insieme al suo super team se anche il licenziamento stesso di Comey sia stato un atto d’ostruzione.
L’OSTRUZIONE ALLA GIUSTIZIA
A distanza di una quarantina di giorni, Trump ha dunque spiegato che quella sua uscita non era solo un bluff, ma aveva lo scopo di fare pressioni su Comey affinché cambiasse versione e si comportasse in modo più “onesto” (delle conseguenze da auto-flagellazione se ne già parlato). Ossia ammette che ha cercato, con una dichiarazione pubblica pesante, di influenzare i successivi comportamenti del direttore. Si ricorderà che durante l’audizione al Senato dell’8 giugno (ecco spiegata la data della richiesta di spiegazioni della Camera), a Comey fu fatta una precisa domanda sul tweet e dunque sulle registrazioni, e lui rispose “Lordy (Signore), spero tanto che ci siano davvero”. In quell’audizione Comey ha raccontato, non tralasciando dettagli, che il presidente ha provato alcune ingerenze sul Russiagate. Trump diceva apertamente che Comey era solo un rancoroso bugiardo, ma venerdì s’è smentito anche su questo: ha detto che prima del suo tweet minaccioso sulle registrazioni Comey si stava comportando scorrettamente, ma poi non più. E dunque in audizione al Senato ha dichiarato cose corrette? Si ricorda che Mueller sta cercando anche soltanto le prove di un tentativo di ostruzione alla giustizia – non del risultato riuscito.