Giovedì, durante una conferenza con la stampa estera, il presidente russo Vladimir Putin ha fornito una più ampia spiegazione di quello che potrebbe essere successo lo scorso anno, quando gruppi hacker hanno attaccato i contenitori informatici del Partito Democratico americano e dei collaboratori della candidata Hillary Clinton. Potrebbero essere stati dei “patriotti” fuori controllo, ha detto.
DI COSA STIAMO PARLANDO?
Questi cyber attack sono stati molto importanti, perché dalle informazioni sottratte, e poi diffuse pubblicamente attraverso vari siti tra cui quello di WikiLeaks, sono state create storie alterate e notizie fraudolente che hanno minato la credibilità di Clinton. Una campagna che ha favorito l’attuale presidente Donald Trump – che non ha vinto soltanto grazie a questo, è chiaro – e che per l’Intelligence Community americana è stata progettata dal governo russo, che ha usato alcuni team di esperti informatici e hacker al soldo dei servizi segreti.
IL RUSSIAGATE
Sulla vicenda è in piedi una delle più imbarazzanti indagini della storia, condotta dal controspionaggio dell’Fbi, che sta valutando anche le possibili collusioni tra uomini che hanno condotto la campagna elettorale di Trump ed elementi russi coinvolti nel piano di interferenza. Per semplificazione giornalistica viene spesso definita Russiagate, ed è un pantano profondo con cui l’amministrazione Trump deve confrontarsi a cadenza quasi giornaliera, quando escono scoop sui giornali su personaggi coinvolti nell’inchieste e nuove rivelazioni fornite da gole profonde di vario genere alla stampa.
GLI HACKER SONO COME ARTISTI
Putin ha detto che “gli hacker sono come artisti”, “si svegliano la mattina e decido un bersaglio da colpire”: ecco, ha spiegato il presidente russo, immaginate che alcuni di questi avessero delle menti particolarmente patriottiche e abbiano deciso di colpire chi “parla male della Russia”, intendendo l’amministrazione Obama e la continuità che la vittoria di Clinton poteva garantire, rispetto alle maggiori aperture verso Mosca promesse da Trump in campagna elettorale. “Non facciamo mica queste cose a livello statale”, però, come fa notare il New York Times, su certe questioni la sfera statale molte volte si fonde in modo clandestino con quella dell’iniziativa privata.
IL CICCIONE, IL RAGAZZINO E IL PATRIOTA
Sembra di risentire quel passaggio in cui Trump spiegò che l’attacco al Comitato nazionale dei Democratici l’avrebbe potuto fare “un uomo di 400 pounds seduto sul suo letto”, o quando Julian Assange su Fox News disse che anche un “ragazzino di 14 anni” avrebbe potuto rubare le mai al capo della campagna Clinton, John Podesta – molte delle fake news contro i democratici sono state costruite su materiale sottratto a Podesta in un attacco hacker.
LA POSIZIONE DELL’IC AMERICANA
Per l’Intelligence Community americana tuttavia non sono stati un obeso, un quattordicenne e un patriota, a rubare quelle informazioni, ma hacker esperti guidati dai servizi segreti russi. Stante a queste constatazioni Barack Obama alzò alcune sanzioni contro Mosca il 29 dicembre del 2016. Ma, ha detto Putin, sicuramente qualcuno ha costruito la catena di collegamento che porta quegli attacchi fino alla Russia, una sorta di false-flag: “Le moderne tecnologie consentono di fare questo genere di cose, è piuttosto facile da fare”.
I COMPOUD RUSSI E SANPIETROBURGO
Intanto, secondo il Washington Post l’amministrazione americana sta muovendosi per restituire l’uso di due compound congelati da Obama nell’ambito delle sanzioni del dicembre scorso perché considerati facilities dei servizi segreti russi sul suolo americano. Le due strutture si trovano a New York City e sulla costa orientale del Maryland: in precedenza Trump aveva proposto di restituirle all’ambasciata russa solo se Mosca avesse alzato il blocco messo per rappresaglia sul progetto del consolato americano di San Pietroburgo.
(Foto: Kremlin.en)