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Troppe isterie per il no di Trump all’accordo di Parigi sul clima

Sul clima c’è molta ipocrisia e isteria. Prevale un approccio ideologico, fondato sull’esasperazione catastrofista e di tipo religioso: gli scettici vengono bollati come “negazionisti”. Una accusa ridicola, faziosa e una litigiosità inammissibile. C’è un problema che i sostenitori degli “impegni sul clima” dovrebbero, con onestà, affrontare: si sono ridotte le politiche del clima, da almeno 30 anni, alla sola perorazione della riduzione imperativa delle emissioni di CO2 antropica (prodotta dall’uomo in atmosfera).

Questa perorazione è stata accompagnata da politiche impositive in alcuni Paesi (l’Europa più di tutti) e costosissime. Dopo 30 anni le emissioni non sono mai diminuite. I costi delle politiche climatiche sono aumentati. Ma inutilmente. Perché si nasconde questa verità? Non ci sarà qualcosa di sbagliato nell’approccio delle politiche del clima? Se ne può parlare? Prendete Trump. Certo rozzo e politicamente scorretto. Minaccia di ritirare gli Usa dagli accordi di Parigi sul clima (Coop 21). Dilaga l’isteria: che succederà? Nulla. Vogliamo dire la verità? La conferenza di Parigi è stata una grande bolla mediatica. E propagandistica. Usata dal governo francese per annunciare, un successo “storico”: la firma di un documento di “impegni” da parte di 195 Paesi. Ma stava per fallire. Per la rivolta dei paesi poveri o in via di sviluppo che avvertono le politiche climatiche come costose, possibili solo ai ricchi e che bloccano il loro sviluppo. E pure tra i grandi (esempio Cina e Usa) prevale il sospetto che le misure sul clima incidono sulla competitività tra i paesi ricchi. Ma con effetti nulli sulle temperature.

Per “salvare” Parigi e parlare di “accordo storico” (enfasi dovuta alle elezioni in Francia) si è fatto credere “straordinario” un vago documento di impegni. Quattro, per la verità: tenere l’aumento di temperatura inferiore ai due gradi, e compiere sforzi per mantenerlo entro 1,5 gradi; diminuire le emissioni di gas serra “il prima possibile” per raggiungere, nella seconda parte del secolo, una produzione di gas serra sufficientemente bassa da essere assorbita naturalmente; controllare i progressi compiuti ogni cinque anni, tramite nuove Conferenze (ogni cinque anni); versare 100 miliardi di dollari ogni anno ai paesi più poveri per aiutarli a sviluppare energia con meno CO2.

Solo poche di queste disposizioni sono legalmente vincolanti. A quasi tutti i vari Paesi aderiscono solo in maniera volontaria. Non solo: tutti i paesi sono obbligati dal trattato solo a fornire l’obbiettivo di riduzione delle emissioni a cui mirano. Che resta, però, deciso dal singolo paese nella sua sovranità. E nemmeno subito ma fra alcuni anni. E non sono previste sanzioni. Insomma, com’è successo da 30 anni a questa parte, ogni paese avrà margini per ignorare le raccomandazioni (non sono vincoli) contenute nel documento.

Ecco da cosa si ritirerebbe Trump: dal nulla. La verità è questa: finché la riduzione di CO2 antropica in atmosfera sarà perseguita con le politiche costose attuali, ribadite a Parigi, di restrizioni delle fonti fossili (gas e carbone), di contrapposizioni di tecnologie (fossili contro rinnovabili), di costosissime transazioni finanziarie (incentivi impossibili alle rinnovabili, pagamento della CO2 emessa, ecc.) saranno solo propaganda. E le emissioni non diminuiranno. Queste politiche penalizzanti di limiti e divieti, peraltro solo conclamati, impattano pesantemente su economia e competitività di ogni Paese. E appaiono, ai più poveri, imperative e dispotiche. Perciò la maggior parte dei Paesi ha difficoltà a perseguirla. E, infatti, da 30 anni le emissioni costano sempre di più ma non si riducono.

Ci sarebbero modi alternativi, e realistici, per ridurre la CO2 emessa dall’uomo? Certamente: con la tecnologia. Ambientalizzando ogni modalità di generazione energetica. O per la cattura della CO2 prima che vada in atmosfera. Ma la tecnologia implica costi, ricerca e investimenti. E tuttavia, siccome impatta positivamente e non negativamente sullo sviluppo è preferibile alle penalizzazioni costose (e inutili) delle politiche attuali. Scegliere la tecnologia comporta la scelta di non demonizzare nessuna fonte di generazione energetica (gas, carbone, nucleare, rinnovabili, ecc.) ma di rendere tutte le fonti, con la tecnologia, plausibili. La tecnologia impone razionalità, però, pazienza, realismo, approccio riformistico e non catastrofico. L’opposto della religione del warming: che alza il livello del catastrofismo ma abbassa quello dell’efficacia delle misure per ridurre le emissioni di CO2. Come vedete “non nego niente” (e ci sarebbero le ragioni). Constato! Quanto alle effettive verità sul cambiamento climatico, ad una prossima puntata.


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