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Trump ammette in un tweet di essere sotto indagine per il Russiagate

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Per la prima volta da sette mesi a questa parte, Donald Trump ha ammesso di essere lui stesso sotto indagine per il Russiagate – l’inchiesta che sta cercando di comprendere la profondità dell’ingerenza russa nelle presidenziali americane, e di verificare eventuali collusioni con gli uomini della campagna Trump. In un tweet il presidente americano ha scritto: “Sono investigato per aver licenziato il direttore dell’Fbi dall’uomo che mi ha detto di licenziare il direttore dell’Fbi! Caccia alle streghe”.

Necessario un chiarimento per chi non segue la tortuosa vicenda dall’inizio. Trump ha licenziato il capo dell’Fbi James Comey il 9 maggio. Dopo quella data pare che Robert Mueller, lo special consuel che il dipartimento di Giustizia ha nominato per dirigere l’inchiesta dell’Fbi sull’intromissione russa, ha iniziato a verificare se ci fosse stato un tentativo di ostacolare il corso dell’indagine da parte di Trump. Anche perché è stato lo stesso Comey ad avviare, indirettamente, l’apertura del fascicolo: infatti secondo alcuni memo raccolti dal direttore dopo conversazioni personali col presidente, Trump gli avrebbe chiesto, era febbraio, di allentare la presa sul Russiagate e di lasciare andare un suo amico e collaboratore, l’ex capo del Consiglio di Sicurezza nazionale Michael Flynn.

Andiamo avanti. Il riferimento successivo nel tweet di Trump va al vice capo del dipartimento di Giustizia, Rod Rosenstein, che è il referente massimo del Russiagate, visto che il ministro Jeff Sessions è stato costretto a ricusarsi dall’indagine perché anche lui coinvolto in alcune conversazioni con l’ambasciatore russo negli Stati Uniti al centro della vicenda, Sergei Kislyak, su cui l’inchiesta sta cercando approfondimenti.

Quando Trump licenziò Comey, la motivazione formale fu addossata a un rapporto stilato da Rosenstein in cui si descriveva un comportamento non consono del direttore nell’Emailgate, la vicenda delle mail istituzionali gestite con un server privato da Hillary Clinton quando era segretario di Stato – il dipartimento di Giustizia nella figura di Rosenstein spiegava che quell’indagine fu portata avanti malamente da Comey: fu aperta, poi chiusa e poi di nuovo riaperta e definitivamente richiusa (a pochissimi giorni dal voto, e secondo Clinton fu una delle ragioni della sua sconfitta) in modo poco professionale.

Trump, durante un’intervista televisiva tre giorni dopo, smentì la costruzione ufficiale sul licenziamento di Comey – che forse era stata progettata anche per tenerlo lontano da polemiche – e ammise che lo avrebbe fatto lo stesso, con o senza il suggerimento di Rosenstein, perché non gli piaceva come il capo del Bureau stava procedendo sul Russiagate. Col tweet di oggi , venerdì 16 giugno, praticamente smentisce di nuovo la linea, ossia smentisce sé stesso, e torna a dire che è stato il report di Rosenstein il motivo del licenziamento. Ma soprattutto ammette di essere indagato, mentre nelle passate settimane aveva più volte sostenuto di non essere oggetto dell’indagine.

In questi giorni Trump sta scrivendo molti tweet sulla questione, denunciando una caccia alle streghe contro di lui, da quando si è diffusa sui media la notizia che Mueller sta indagando su eventuali ostruzioni al corso del Russiagate spinte dal presidente. Vale la pena ricordare ancora che Mueller è stato nominato dal dipartimento di Giustizia, ossia dall’amministrazione Trump stessa. Rosenstein giovedì ha diffuso un comunicato in cui invitava gli americani a non credere a tutte le dichiarazioni “da fonti anonime” riportate sui giornali, riferendosi all’indiscrezione uscita sul Washington Post a proposito dello spostamento di una parte dell’indagine di Mueller sul conto di Trump. Oggi Trump l’ha praticamente smentito di nuovo.


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