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Tutti gli scontri e gli incontri tra Onu e Vaticano su aborto e pace in Centrafrica

Papa Francesco, Vaticano

Odi et amo, avrebbero detto i poeti latini. Guerra e pace se si cita Tolstoj. O la spada di Gesù, quella del discorso missionario, la stessa che invita ad acquistare vendendo il proprio mantello ma che farà anche perire il discepolo in caso di utilizzo contro il servo nel Getsemani, contro la pace di chi porge l’altra guancia, la stessa che usa San Paolo per descrivere il messia nella lettera agli Efesini. Sono solo alcune possibili rappresentazioni del tormentato rapporto tra la Santa Sede e l’Onu, fatto di scambi continui ma anche di richieste reciproche, di intenti comuni e di divergenze scottanti.

I RICHIAMI DELLA SANTA SEDE ALL’ONU

Come ad esempio quella che negli ultimi giorni ha visto il Vaticano lanciare un richiamo su aborto e gender, con l’osservatore vaticano a Ginevra mons. Ivan Jurkovič che ha tuonato chiedendo di “non destinare servizi sanitari contro la vita dei nascituri” e di utilizzare il termine gender “solo in relazione all’identità sessuale biologica”. La risposta più che dall’Onu è arrivata già dal gennaio scorso dal presidente americano Donald Trump, che seppure avversato dai vescovi statunitensi su questioni come la riforma sanitaria, il trattamento riservato ai migranti o il Muslim Ban, ha tagliato i fondi Usa destinati a programmi pro aborto per conto dell’Onu o di ogni altra Ong, come promesso in campagna elettorale.

LE DENUNCE DELL’ASSOCIAZIONE PROVITA ONLUS

Nel frattempo al Palazzo di vetro soltanto lo scorso aprile la presidente cilena Michelle Bachelet veniva elogiata per il suo impegno a favore di aborto e diritti Lgbt, come denuncia l’associazione italiana Provita Onlus, molto attenta su questi temi. E molto attiva nel contestarli, come quando ad esempio solo un anno fa paventava la sventura di una “giornata mondiale dell’aborto”, ma che poco più di un mese fa si è ricreduta dopo che la commissione Onu si è pronunciata contro “l’educazione sessuale completa”, per la quale Provita parlava di “sessualizzazione precoce” e “fluidità di genere”.

LE RICHIESTE DELL’ONU E LE REAZIONI

Al contrario, di sicuro in passato non sono mancate le accuse da parte dell’Onu al Vaticano, come quando nel 2014 gli imputava di aver permesso abusi su minori. Avanzando già da allora richieste di certo problematiche per il dialogo tra cui una maggiore presenza di medici non obiettori negli ospedali, l’adozione alle coppie omosessuali e la fecondazione in vitro. Il sociologo Massimo Introvigne in quei giorni scrisse su La Bussola Quotidiana che “l’Onu stava dichiarando guerra alla Chiesa”.

IL DISCORSO DI PAOLO VI E LE INIZIATIVE COMUNI

La Santa Sede è infatti inserita all’Onu dal ‘64 come osservatore permanente di Stato non membro. Storico il discorso di Paolo VI nell’ottobre del ’65, dove proclamò: “Mai più la guerra!”. Dai palazzi dello Stato Pontificio si guarda a New York principalmente come a un mezzo per salvare i paesi poveri (lo spiega qui il vaticanista Riccardo Cristiano), come testimonia anche il discorso di Papa Francesco del settembre 2015, dove pronunciò le parole “basta guerre, negazione di tutti i diritti”, oltre ai suoi incessanti e numerosi appelli su difesa dei migranti, fine dei conflitti, tutela dei deboli, lotta alle armi, o per l’eliminazione totale di quelle nucleari. Arrivando a proporre la cancellazione del debito dei paesi poveri, l’unico che su questo tema si è pronunciato ufficialmente, come scrive l’ex sottosegretario all’economia Mario Lettieri.

IL SEGRETARIO GENERALE GUTERRES, CATTOLICO PRATICANTE 

E se in passato gli scontri erano più aspri, al punto da parlare di tentativi nascosti di cacciare la Santa Sede (qui un articolo del 2007 di Sandro Magister) per un ruolo – quello di soggetto religioso – troppo divergente da una semplice Ong, oggi i rapporti sono decisamente migliori, vista anche la nomina a segretario generale delle Nazioni Unite del portoghese Antonio Guterres, cattolico praticante. Così si scorgono vescovi e cardinali fortemente impegnati sul fronte politico, come mostrano dichiarazioni e costanti richiami.

L’ATTIVISMO DI VESCOVI E PRELATI

Soltanto ieri l’osservatore permanente a New York mons. Bernardito Auza si è espresso per un maggiore dialogo nelle scuole, con l’obiettivo di favorire le diversità culturali e i diritti delle famiglie, per l’incremento della lotta al traffico di persone, per far cessare le violenze sulle donne. Lo stesso Auza che ha parlato dell’incontro tra Trump e Bergoglio come di un “tempo di semina”. Oppure si pensi solamente, per citare un esempio, ai numerosi richiami del card. Peter Turkson su ambiente e corruzione. Tema, quest’ultimo, per cui la Santa Sede ha aderito alla convenzione lanciata dall’Onu nel 2015, e per cui oggi Bergoglio pensa addirittura a una scomunica verso ogni cattolico che si macchi di questo crimine.

LO SCENARIO DELLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO

Uno scenario contiguo a quanto descritto è quello che coinvolge la Comunità di Sant’Egidio, associazione cattolica nata a Roma nel ’68 e rinominata fin dai primi tempi l’Onu di Trastevere, che poche settimane fa ha firmato con l’Onu un accordo di collaborazione sulla pace in vari scenari caldi del mondo. Storico assistente spirituale della Comunità di sant’Egidio è monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la Vita, al centro dell’attenzione in questi giorni per le polemiche sulla nomina del professor Nigel Biggar, accusato di posizioni pro-aborto, a cui hanno seguito le dichiarazioni di “totale contrarietà all’aborto” da parte di Paglia e del suo istituto, dopo che in passato il prelato ha dovuto prendere le difese persino del papa per la sua lettera apostolica Misericordia et misera.

LA PACE (FRAGILE O POSSIBILE?) IN CENTRAFRICA

Ed è in nome della pace che lunedì 19 maggio si è firmato nella sede della Comunità di Sant’Egidio a Roma un pre-accordo in Centrafrica, che per quanto ancora “fragile” sembrava annunciarsi come un passo storico. Se non fosse arrivata in seguito la smentita da parte del cardinale cattolico coinvolto, l’arcivescovo di Bangui Dieudonné Nzapalainga, che ha negato di avere incaricato qualcuno a firmare in suo nome e sostenendo che il testo dell’accordo, firmato da esponenti di gruppi civili e politici, lascia “l’impunità degli autori delle violenze”. Pochi giorni dopo il viceministro degli esteri italiano Mario Giro, membro della Comunità di Sant’Egidio, ha replicato in un’intervista che “la cosa importante è ottenere il cessate il fuoco”, e che sentendolo il cardinale gli ha confessato “di non negare l’accordo”. Il firmatario, tale Godfrey Mokamanédé, collaboratore di Nzapalainga, ha poi detto di avere messo la sua firma come semplice osservatore senza però l’intenzione di prendere impegni.

EMERGENZE, INCONTRI E SCONTRI

Ed è proprio dall’Africa centrale (lo scrive qui Maria Antonietta Calabrò) che stanno partendo in questi giorni il maggior numero di migranti, che hanno spinto il ministro Minniti a tornare da Washington e il governo italiano a rivolgersi con una lettera formale all’Ue. Una stabilizzazione di un’area come quella del Centrafrica segnerebbe perciò un passo avanti da non trascurare. Insomma: incontri e scontri, emergenze e appelli, diffidenze e paure. Tutto rigorosamente in nome di pace e diplomazia, alternati da una fede che a volte unisce, e altre divide

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