Imperversa, in maniera sempre più virulenta, la battaglia mondiale tra le posizioni oltranziste di Trump sugli accordi di Parigi ed i loro difensori: da una parte emerge una posizione, spesso anche espressa in maniera urticante, di salvaguardia a priori degli interessi nazionali e dall’altra di una declinazione “mistica” di attenzione al clima ed ai suoi cambiamenti. In entrambi i casi le posizioni preconcette e inossidabili celano, a voler essere buoni e non cinici, una certa ingenuità coniugata con una reale scarsa conoscenza dei fatti.
Vediamo perché: è innegabile, con buona pace dei negazionisti, che l’influenza antropica sul clima è presente e, spesso, anche molto rilevante in alcune situazioni particolari. Viviamo di inquinamento costante, le grandi città sono soffocate da cappe di micro particelle e molecole la cui composizione non solo non fa bene alla salute ma altera anche i processi evolutivi dell’atmosfera e del terreno creando scompensi (irreversibili o meno è materia di dibattito scientifico per ora irrisolto).
In città basta mettere alla finestra uno straccio bianco e vedere come diventa dopo qualche giorno di esposizione: questo è quello che respiriamo e che si sta depositando nei nostri bronchi e nei polmoni. E’ il prodotto di un modello di sviluppo che abbiamo adottato da tempo e che incide sugli equilibri termodinamici della Terra. Saggezza vorrebbe, nel nostro stesso interesse, valutare come intervenire e cosa cambiare per attutirne gli effetti negativi.
Di fronte a queste considerazioni semplici (i negazionisti le definirebbero semplicistiche ma me ne faccio una ragione) va altrettanto chiaramente fatta un’analisi seria sui risultati raggiunti sino ad oggi dalle Conferenze mondiali sul clima tenutesi ben 21 volte per arrivare, da quella del 1992 di Rio a quella di Parigi del 2015 definito “un accordo vincolante e universale sul clima” e innalzato sugli altari dell’ecologia militante.
Nella realtà, come spesso è storicamente accaduto in queste iniziative ONU (e va detto purtroppo) la montagna ha partorito un topolino. Politicamente l’iniziativa è stata fortemente voluta dalla Francia e dal suo Presidente della Repubblica già pesantemente in caduta libera nella stima dei suoi cittadini. L’operazione serviva soprattutto ad indorare profili politici di personaggi molto appannati e alla ricerca di nuova vita. Così è stato, ma soltanto su scala nazionale e di breve durata visto il successo travolgente di Macron che ha sparigliato tutte le carte dimostrando che l’operazione era di corto respiro e che i cittadini volevano altro dai propri politici.
Da un punto di vista tecnico poi i risultati “del grande successo” lo erano solo sulla carta mentre in realtà passi reali nel controllo dell’impatto antropico sul clima non sono mai stati fatti con successo: la temperatura del pianeta continua a crescere, il livello degli oceani altrettanto anche se lentamente, e l’inquinamento non si riduce ma anzi dilaga anche nei paesi in via di sviluppo.
Peraltro pochi sanno, e gli stessi media pudicamente evitano il tema mentre si sbracciano nell’elencare i meriti formali degli accordi di Parigi, che questi si portano appresso due enormi buchi neri che mai si è voluto affrontare: il primo è che i controlli sul raggiungimento degli obiettivi nazionali sono deboli e facilmente aggirabili, si faranno solo dopo 5 anni dal 2015 e non sono previste sanzioni eliminando di fatto l’effetto di stimolo a mantenere gli impegni. Il secondo, più grave, è che l’impatto sul clima dei trasporti aerei e marittimi non è stato preso in considerazione, come se non esistesse anche se pesa per almeno il 30% sul totale. Le ragioni economiche sono talmente evidenti che non vale menzionarle.
Di conseguenza ritengo che prima di strapparsi le vesti per le scelte di Trump ergendosi a paladini di un mondo meno inquinato, bisognerebbe valutare le proprie responsabilità e che ruolo si è sin qui giocato nei 21 anni di riunioni tanto oceaniche che scarse di contenuti e risultati reali. E’ forse arrivato veramente il momento di tenere tutti i piedi per terra, superando le posizioni ideologiche emerse nei due schieramenti opposti, emarginando per quanto possibile gli ayathollah pro e contro, abbandonando i gesuitici dibattiti sul sesso degli angeli ma rendendoci conto che stiamo tutti sulla stessa barca e a pagare saranno le generazioni future se continuiamo a sbagliare per miseri interessi di parrocchia e corta prospettiva temporale.
E qui la partecipazione dei cittadini, come membri attivi e impegnati di una comunità, potrà giocare un ruolo fondamentale per cambiare lo stato delle cose. I politici sino ad oggi ci hanno venduto l’immagine di un bicchiere finalmente trabordante mentre, a voler essere ottimisti, è solo pieno a metà: sta a noi riempirlo in maniera efficace.