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Anticastismo, autobiografia della nazione?

Di Fernando Pineda e Berardo Viola

C’è del marcio in Danimarca, e va bene. La corruzione, il trasformismo, il clientelismo, l’uso disinvolto dei beni pubblici a favore degli interessi privati, e più in generale una diffusa, trasversale perdita del “senso di sé”, di quell’onore di corpo connesso alla funzione che fa di un gruppo umano qualunque una élite: di questo e di altro ancora si nutre la crisi della politica e della rappresentanza parlamentare che tanta pubblicistica e tanto giornalismo, benché talora per fini affatto nobili, hanno sintetizzato in una parola divenuta marchio di universale disprezzo: Casta.

Ma purtroppo il marcio non sta solo dentro al Palazzo, anche se questa semplice verità stenta a farsi largo in un’opinione pubblica allevata a pane e antipolitica. Perché di rado chi siede in alto è immune dai vizi – così come dalle virtù, del resto – di chi sta in basso. Le congiure, gli intrighi e i delitti che funestano la vita di corte non sono forse per Amleto lo specchio di un mondo che ha le sembianze di “un giardino incolto, pieno tutto di malefiche piante” ?

A chi preferisce l’accoppiata Stella&Rizzo ai ricorsi shakespeariani sembrerà un’intollerabile provocazione, ma i fatti di cronaca di questi giorni stanno lì a ricordarci quanto sia vuota la mistica della società civile, specie quando questa definisce la sua retorica e le sue parole d’ordine in opposizione alle malefatte – vere o presunte poco importa – della classe politica.

L’insegnante che ha marcato visita per 1.500 ore nella sua scuola a Lodi mentre esercitava la nobile professione forense a Vibo Valentia era sicuramente uno di quegli italiani – pare quasi di sentirlo – che la sera si godono nei talk show la caccia al politico con lo stesso morboso piacere col quale gli adepti del vudù trafiggono in effigie i loro nemici. Che dire di quel medico che per mesi ha sostenuto con decine di certificati quel mal di schiena? Per non parlare poi di quel Capodanno di tre anni fa, quando una pestilenza colpì la quasi totalità dei vigili urbani di Roma. Un’epidemia che avrebbe dovuto allarmare l’Oms e invece è finita con l’assoluzione collettiva.

Non è poi difficile immaginare di quale considerazione goda il ceto politico tra i non pochi macchinisti dell’Atac (1500 secondo Il Messaggero) che arrotondano le loro entrate con un secondo lavoro, spesso durante l’orario del primo. Per non dire di quei microsindacati che, in spregio agli utenti ed alla decenza, organizzano scioperi a cadenza settimanale paralizzando le nostre città.

Anche loro, di sicuro, odiano la Casta. E anche loro, altrettanto di sicuro, se ne servono, ne cercano i favori e ne invocano alla bisogna la protezione. Salvo maledirla appena appena il vento cambia direzione. Dietro ogni moralismo si nasconde l’opportunismo. Gli italiani detestano la politica e i politici non perché palpitano per l’onestà, la legalità e la trasparenza – la triade della nuova religione civile – ma perché gli conviene. Sanno che alzando il tiro contro chi li governa sarà più facile nascondere a se stessi ed al prossimo le proprie piccole o grandi miserie. Ecco perché “c’è del metodo in questa follia”. L’anticastismo non è solo un alibi, è l’autobiografia della nazione.


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