La relazione con cui il presidente Tito Boeri, il 4 luglio scorso, ha illustrato il Rapporto dell’Inps per il 2016 ha sollevato diverse polemiche, in larga misura strumentali perché legate alla contingenza politica e fondate su degli equivoci. In particolare ha fatto discutere il riferimento di Tito Boeri all’immigrazione e al contributo cruciale che può venire da questi processi anche per l’equilibrio dei conti della protezione sociale. Ma vediamo che cosa ha detto Boeri a questo proposito: “Non abbiamo invece bisogno di chiudere le frontiere (….) una classe dirigente all’altezza deve avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale. Oggi gli immigrati offrono un contributo molto importante al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale e questa loro funzione è destinata a crescere nei prossimi decenni man mano che le generazioni di lavoratori autoctoni che entrano nel mercato del lavoro diventeranno più piccole (…) gli immigrati che arrivano da noi siano sempre più giovani: la quota degli under 25 che cominciano a contribuire all’Inps è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015. In termini assoluti si tratta di 150.000 contribuenti in più ogni anno. Compensano il calo delle nascite nel nostro Paese, la minaccia più grave alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico, che è attrezzato per reggere ad un aumento della longevità, ma che sarebbe messo in seria difficoltà da ulteriori riduzioni delle coorti in ingresso nei registri dei contribuenti rispetto agli scenari demografici di lungo periodo’’. Il ragionamento non fa una piega ed è corredato da quanto emerge da una simulazione compiuta dall’Inps, dalla quale emergerebbero i danni derivanti al sistema se venisse meno il flusso di lavoratori stranieri. Il fatto è che il brano è caduto in un momento in cui l’ipotesi di chiudere le frontiere non è rivolta ad impedire l’accesso a lavoratori stranieri (come peraltro minaccia di fare il Regno Unito), ma alla grave problematica dei profughi e dei migranti, quelli che sbarcano a migliaia quotidianamente sulle nostre coste. E’ evidente – pensiamo che lo sia anche per Boeri – che non può venire da qui la risposta alle esigenze di un mercato del lavoro penalizzato dagli andamenti demografici (e, aggiungiamo noi, dal “rifiuto’’ del lavoro da parte dei nostri connazionali, con riguardo a determinate mansioni). Ed è quindi pretestuoso affermare che Boeri si sia schierato sulle posizioni di Papa Francesco. Tuttavia, un chiarimento da parte sua sarebbe stato opportuno per sventare ogni maliziosa interpretazione equivoca.
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Il presidente Boeri non teme di farsi ulteriori nemici, anche quando questi sono (pre)potenti come i dirigenti sindacali (i quali controllano il CIV che ha già dato a Boeri parecchi grattacapi). Nella sua relazione il presidente ha criticato le organizzazioni sindacali perché si oppongono all’introduzione di un reddito minimo e di un salario minimo. A quel punto, in risposta, i sindacalisti hanno intonato la litania di “un uomo solo al comando’’ rivendicando la riforma della governance dell’Istituto. Tito Boeri, però, ha replicato con un colpo sotto la cintola, mettendo in discussione l’effettiva rappresentatività dei sindacati. Limitatamente alle aziende iscritte alla Confindustria – ha affermato – i dati sul tasso di sindacalizzazione Italia potrebbero essere più bassi di quanto comunemente si ritiene: in queste imprese siamo attorno al 25%, molto meno del 40% riportato dall’Ocse, sulla base di segnalazioni degli stessi sindacati’’.
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Non mi ha convinto, invece, Boeri quando ha spiegato che, tutto sommato, i disavanzi del bilancio dell’Inps non sarebbero un problema. Vediamo: “I disavanzi contabili dell’Inps offrono perciò una rappresentazione fuorviante della sostenibilità del nostro sistema previdenziale, né offrono informazioni aggiuntive sullo stato dei conti pubblici nel loro complesso, perché le stime del disavanzo e del debito pubblico dell’Italia non cambierebbero ripianando i debiti dell’Inps nei confronti dello Stato. Per azzerare questo debito dell’Inps e riportare il suo stato patrimoniale ampiamente in territorio positivo, basterebbe infatti trasformare le anticipazioni in trasferimenti a titolo definitivo, come già avvenuto nel 1998, nel 2011 e nel 2013. Il tutto senza alcun aggravio per il disavanzo e il debito pubblico. Una ulteriore riprova della distanza di queste rappresentazioni contabili dallo stato effettivo dei conti previdenziali’’.
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Boeri ha spiegato anche i motivi di queste sue considerazioni. Quando nelle gestioni pensionistiche le entrate contributive non sono sufficienti a far fronte alle spese, per finanziare l’erogazione delle prestazioni (che sono comunque dovute), interviene il Tesoro con anticipazioni le quali, sulla carta, sono debiti dell’Istituto verso lo Stato, ma che non verranno mai pagati. Di qui – secondo Boeri – la necessità di fare pulizia, come già in passato, con una legge che le trasformi in trasferimenti ovvero in crediti dell’Inps. A noi sembra una soluzione troppo facile. Anche la situazione finanziaria del rag. Mario Rossi cambierebbe di colpo se il pizzicagnolo, il padrone di casa, la banca a cui ha chiesto un mutuo, azzerassero tutti i suoi debiti nei loro confronti. Le anticipazioni non sono risorse fantasma, invisibili e imponderabili: provengono dalle tasse e, se vanno a coprire i disavanzi dell’Inps, sono sottratte ad altre destinazioni.