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Ceta, cos’è e cosa cambierà tra Europa e Canada

Gli accordi di libero scambio non sono più di moda. Quelli che fino a qualche anno fa venivano considerati un toccasana per abbattere barriere tariffarie, ridurre dazi e aprire mercati alla libera concorrenza, adesso sono in una sorta di libro nero dell’economia. L’ultimo scontro si sta registrando sul trattato di libero scambio fra Unione Europea e Canada, conosciuto come Ceta, letteralmente “Comprehensive Economic and Trade Agreement”. “L’accordo con il Canada è da tutti i punti di vista il migliore accordo concluso dall’Unione europea”, ha commentato oggi il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda.

I FATTI

Negoziato dal 2009 e firmato il 30 ottobre scorso dal primo ministro del Canada Justin Trudeau e dal presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker, ha ricevuto il via libera formale da parte della commissione Commercio internazionale dell’Europarlamento (25 voti a favore, 15 contrari ed un astenuto) e attende la ratifica dei parlamenti nazionali, tra cui ovviamente anche il nostro.

GLI OBIETTIVI

Gli obiettivi dichiarati sono ambiziosi: abbattere più del 90% dei dazi doganali (oltre che parte delle barriere non doganali) sui 60 miliardi di euro del volume di scambi tra i due Paesi, incentivare gli investimenti stranieri, liberalizzare i servizi e rafforzare la cooperazione normativa. Una ventata di free trade senza scomodare troppo i padri nobili del libero commercio da Adam Smith a David Ricardo. Certo il libero scambio si è inceppato, basta vedere che fine ha fatto il Doha Round lanciato nel 2001, come risposta anche agli attacchi terroristici alle Torri Gemelle, è finito su un binario morto dopo oltre 15 anni di trattative. La strada maestra quindi per liberalizzare il commercio mondiale sono gli accordi bilaterali, come appunto il Ceta ed il fratello maggiore, il Ttip tanto desiderato da Obama quanto oggi osteggiato da Donald Trump.

I DOCUMENTI

I benefici del Ceta sono ben decritti nei documenti stilati dalla Commissione Europea. Favorirà le imprese europee grazie all’eliminazione del 99% dei dazi che devono pagare alle dogane canadesi. Lo stesso varrà per le imprese canadesi che esportano verso l’Ue. Dopo sette anni tutti i dazi doganali sui prodotti industriali spariranno. Ma già dal primo giorno dell’entrata in vigore effettiva del Trattato, il Canada eliminerà i dazi doganali sulle esportazioni dell’Ue per un valore di 400 milioni di euro l’anno, che aumenteranno poi a 500 milioni di euro all’anno al termine dei periodi transitori. Ciò renderà le imprese europee più competitive sul mercato canadese.

CHE SUCCEDE IN EUROPA

Le imprese europee potranno inoltre beneficiare di parti, componenti e altri fattori di produzione provenienti dal Canada che utilizzano per fabbricare i loro prodotti. Inoltre le aziende europee potranno godere delle aperture del Canada alle gare d’appalto pubbliche, potranno presentare offerte per la fornitura di beni e servizi a livello federale, provinciale e municipale, divenendo le prime imprese non canadesi a poterlo fare. Ciò è importante perché in Canada il mercato provinciale degli appalti pubblici ha un volume doppio rispetto a quello federale. In totale, la pubblica amministrazione canadese acquista beni e servizi per un valore di oltre 10 miliardi di euro ogni anno. Il Canada inoltre ha accettato di rendere più trasparenti le procedure pubblicando tutti i bandi di gara in un unico sito web dedicato agli appalti. Questo sarà di aiuto per le piccole imprese europee, per le quali il problema della reperibilità delle informazioni è uno dei principali ostacoli all’accesso ai mercati internazionali.

DOSSIER SERVIZI

Ma anche sul fronte dei servizi ci sono numerosi vantaggi per le aziende europee che avranno più opportunità di fornire servizi, ad esempio servizi marittimi specializzati come il dragaggio, la movimentazione di container vuoti o il trasporto di determinati carichi all’interno del Canada. O in settori come i servizi ambientali, le telecomunicazioni e la finanza, le imprese europee saranno in grado di accedere al mercato del Canada sia a livello federale, sia, per la prima volta, a livello provinciale.

IL NODO AGRICOLO

Tutto bene, quindi? Non esattamente. Il comparto che rischia di essere sacrificato è quello agricolo. Con l’eliminazione di quasi tutti i dazi sui prodotti agricoli, il Ceta espone infatti la nostra agricoltura, basata prevalentemente su piccole aziende, alla concorrenza diretta delle aziende agroindustriali canadesi che sono notoriamente molto diverse per dimensioni e standard di produzione. “Tendiamo a dimenticare – ha scritto Calenda oggi sul Corriere della Sera – che le multinazionali possono affrontare ostacoli burocratici e delocalizzare per aggirare i dazi, mentre le piccole imprese non hanno queste possibilità. Per questo gli accordi di libero scambio sono importanti soprattutto per le Pmi. Abbiamo varato importanti provvedimenti per valorizzare la materia prima italiana. Penso alle regole sull’indicazione di origine del grano, latte e riso introdotte anche forzando fino al limite la normativa europea. Ma una cosa è aumentare la trasparenza verso i consumatori e qualificare il prodotto italiano, altra cosa è illudersi che autarchia e protezionismo possano portare sviluppo e benessere”.

COSA NON PREVEDE

Il trattato inoltre non contempla l’importazione nell’Ue degli Ogm e della carne agli ormoni canadesi. Il Ceta inoltre attraverso la cooperazione normativa potrebbe far cadere il principio di precauzione che ha fino ad oggi ha impedito l’importazione di cibo OGM nel mercato comunitario. Insomma, l’eliminazione dei dazi se può andare bene per i servizi e la competizione industriale rischia di essere un salasso per il settore agricolo. Prendiamo ad esempio il caso del grano che tanto fa penare i nostri produttori come raccontato anche da Formiche.net.

LA QUESTIONE DEL GRANO

L’importazione nell’Ue di grano canadese esente da dazi doganali passerà da 38.835 a 100.000 tonnellate. Triplicherà nel giro di un anno. E non solo anche il mais passerà da 7.640 a 45.840 tonnellate. Si rischierebbe di fatto – senza considerare anche i costi di produzione che in Europa sono più alti di quelli canadesi – di spazzare via un intero comparto. E lo stesso paradigma potrebbe essere applicato ad altri comparti alimentari come quello lattiero-caseareo o quello delle carni.

FRA DOP E IGP

Altro tema caldo è quello delle indicazioni geografiche, cavallo di battaglia dell’Italia in ogni round negoziale ma che di fatto è quasi sconosciuto oltre i confini europei. Un caso su tutti nato proprio ad Ottawa: il parmesan. Un prodotto canadese al 100% che richiama il nostro parmigiano reggiano ma che di reggiano ha poco o nulla. Insomma, mentre l’Europa riconosce migliaia di prodotti agroalimentari Dop (Denominazione d’Origine Protetta), Igp (Indicazione Geografica Protetta), Stg (Specialità Tradizionale Garantita) con l’Italia che solo di prodotti Dop vanta 280 specialità sui 1500 europei, il Canada non sa cosa siano le indicazioni geografiche e giustifica in questo modo quella che noi comunemente chiamiamo pirateria agroalimentare o italian sounding che reca ai nostri produttori danni stimati in circa 26 miliardi di euro. Nulla nel Ceta infatti vieta ai canadesi di continuare ad usare uno solo dei vocaboli contenuti nelle denominazioni d’origine protette. Significa che i canadesi possono continuare a scrivere sulle confezioni dei loro prodotti – ad esempio – “mortadella” oppure “bologna” anche se la dicitura “mortadella di Bologna” figura nell’elenco dei 41 prodotti italiani protetti e riconosciuti dal Trattato.

COSA DICE CALENDA

Ha scritto oggi il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda: “Dop e Igp sono un sistema di marchi collettivi legati ad un territorio, non riconosciuto in moltissimi paesi del mondo a partire dagli Usa e, prima dell’accordo, dal Canada. Il nostro Prosciutto di Parma, tanto per fare un esempio, prima della conclusione del trattato doveva essere commercializzato in Canada come «Original Prosciutto». Con il negoziato abbiamo ottenuto il riconoscimento di 143 Indicazioni geografiche europee, di cui 41 italiane tra le più importanti in termini di export. Quanto raggiunto è un enorme passo avanti rispetto al passato ed apre la strada ad ulteriori progressi negli accordi in negoziazione. Pensare che si sarebbe potuto ottenere un riconoscimento integrale e illimitato è sbagliato. L’essenza di un negoziato sta nel raggiungimento di un compromesso”.



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