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Chi teme (e chi non teme) i nuovi test della Corea del Nord

Come l’intelligence americana aveva previsto, la Corea del Nord ha effettuato nella notte di ieri, alle 23.41 ora locale, un  nuovo test balistco. Come lo scorso 4 luglio, si tratta di un missile balistico intercontinentale  (Icbm), ma a quanto pare più potente e a gittata più lunga rispetto a quello testato 24 giorni fa. Ha seguito una parabola di oltre 2.000 miglia, per una durata di 47 minuti, ed è precipitato nelle acque territoriali giapponesi, non lontano dall’isola settentrionale di Hokkaido.

Come riferiscono fonti Usa, il missile testato ieri sarebbe in grado, se lanciato con l’angolazione giusta, di raggiungere buona pare del territorio continentale degli Stati Uniti, compresa Boston e forse New York. Una preoccupante evoluzione del programma balistico di Pyongyang che smentisce il tweet fatto da Donald Trump lo scorso 2 gennaio quando, nel suo discorso di capodanno, Kim Jong Un annunciava che le sue intenzioni erano proprio di ottenere un missile capace di minacciare l’America: “It won’t happen”,  aveva cinguettato il non ancora insediato presidente.

Se vi sono pochi dubbi sulle effettive intenzioni e sull’aggressività del regime, non vi è consenso unanime, nella comunità degli analisti, circa le effettive potenzialità del nuovo missile nord coreano. Mentre la prima lettura del nuovo lancio farebbe emergere una capacità di colpire con una testata nucleare il territorio americano ben oltre l’Alaska, come risultava dall’analisi del lancio del missile di tipo Hawsong-14 lanciato il giorno della festa dell’indipendenza Usa, non tutti sono disposti a concludere che Pyongyang abbia conseguito la capacità di miniaturizzazione di una testata così da poterla montare su un Icbm né che quest’ultimo sia in grado di sopportare le alte temperature che si sviluppano in fase di rientro nell’atmosfera.

Indipendentemente dalle congetture, è certo che la preoccupazione di Giappone e Corea del Sud è massima. Ambedue i governi hanno tenuto riunioni di emergenza dopo il test di ieri. In un clamoroso dietrofront rispetto alle posizioni iniziali del neo-presidente sudcoreano, Seul annuncia che procederà all’attivazione del sistema anti-missile Thaad fornito da Washington pochi mesi fa e oggetto di polemiche per l’ostilità di Pechino, che lo percepisce come una inaccettabile minaccia alla propria sicurezza.

Anche negli Stati Uniti il clima è di massima tensione. Il nuovo test di Pyongyang arriva contestualmente al varo di nuove sanzioni da parte del Congresso. In questi mesi Washington ha alternato una linea bellicosa,  con minacce nemmeno troppo velate di un possibile attacco preventivo centro la nord Corea, ad un dialogo con la Cina, cui Washington attribuisce la capacità di esercitare efficaci pressioni sul regime di Kim affinché rinunci al suo comportamento aggressivo. Ma nonostante la fiducia accordata da Trump al collega cinese Xi Jinping, non vi è evidenza alcuna che Pechino voglia effettivamente cooperare con l’America nel pressing su Pyongyang. La Cina, in fin dei conti, teme meno una Corea del Nord nuclearizzata che il collasso di un paese che funge da cuscinetto tra il Dragone e le truppe americane stanziate in Corea del Sud. La strada per una risoluzione della crisi nord coreana è tutta in salita.


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