Un riconoscimento e un appello all’unione (senza successo) rivolti al Parlamento hanno significativamente aperto e chiuso l’informativa alla Camera del ministro dell’Interno, Marco Minniti (in foto), sull’immigrazione. Il quadro esposto ha riassunto in pochi minuti settimane di emergenze, di polemiche, di scontri politici che avranno un passaggio fondamentale nel vertice informale dei ministri dell’Interno di Tallinn del 6 luglio (il 7 toccherà ai ministri della Giustizia).
L’INPUT DEL PARLAMENTO E IL NODO-ONG
Minniti non ha nascosto che la discussione avuta con i ministri dell’Interno di Francia e Germania domenica 2 luglio sia stata “difficile”, giudicando però “importante la posizione comune” in vista di Tallinn. “Parigi è stato un primo importante passo, ma un primo passo” e, dopo il piano stilato dalla Commissione Ue, bisogna dire “la verità al Parlamento e agli italiani”. Cercando di smussare le polemiche di questi giorni, il ministro ha ricordato che le iniziative del Governo non sono estemporanee, ma messe in campo dopo l’attività di indagine del Comitato Schengen e della commissione Difesa del Senato, sottolineando che la relazione conclusiva di quest’ultima venne votata all’unanimità. Dunque, così come fu chiesto dal Parlamento, sulle Ong “nessun pregiudizio né generalizzazioni”, ma in Europa si è deciso di varare un codice di condotta come chiesto in quella relazione. Dovranno quindi sottostare a un coordinamento con la Guardia costiera libica per l’attività in quelle acque territoriali e coordinarsi anche con un’attività di polizia giudiziaria per lottare contro i trafficanti. Su questo Minniti è stato chiaro: “Le altre navi sono militari, un Paese serio prende tutte le misure per coniugare la salvezza della vita con le esigenze della sicurezza e battere così i trafficanti”.
NUMERI INCONTESTABILI
Minniti non ha citato altri obblighi che dovrebbero essere contenuti nel codice di condotta per le Ong che proprio l’Italia dovrà varare, come il divieto di spegnere il trasponder per non farsi rintracciare e di fare segnalazioni luminose per indirizzare i barconi di migranti o la trasparenza sui finanziamenti, ma che così non si possa più andare avanti lo dimostrano i numeri (noti) che il ministro ha elencato: nei primi sei mesi di quest’anno il 34 per cento dei salvataggi è stato fatto dalle Ong, il 28 per cento dalla Guardia costiera italiana, il 9 dalla missione Eunavfor Med-operazione Sophia, l’11 per cento da Frontex, il 7 per cento dai mercantili. Il 97 per cento degli arrivi proviene dalla Libia e “non c’è neanche un libico” sui barconi (al 5 luglio sono arrivati 85.042 migranti, il 19,44 più dell’anno scorso). “Nei giorni 27 e 28 giugno, abbiamo avuto un afflusso straordinario di persone salvate nel Mediterraneo centrale: 22 navi, poi diventate 25, più di 10 mila arrivi”. La Libia, però, “non è la Turchia” che gode di un ricco accordo economico con l’Ue grazie al quale il flusso di migranti si è bloccato su quella tratta e Minniti ha ricordato che “l’Italia è strategicamente interessata alla stabilità della Libia”. Importante, quindi, che nel piano varato dalla Commissione Ue e che verrà discusso a Tallinn ci sia un supporto alla Guardia costiera libica e la creazione di un centro di coordinamento e soccorso a Tripoli. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Unhcr, ha sottolineato Minniti, sono andate in Libia, anche se il ministro non ha aggiunto che pochi giorni fa il portavoce dell’Oim ha ammesso l’impossibilità di operarvi per la mancanza delle condizioni di sicurezza.
I PROSSIMI APPUNTAMENTI
Il 24 luglio a Tunisi si riunirà il gruppo di contatto Europa-Africa settentrionale e probabilmente discuterà anche del controllo del confine meridionale della Libia, “fondamentale anche in funzione antiterrorismo”, ha aggiunto il ministro. Inoltre, “nei prossimi giorni faremo una riunione a Tripoli con i sindaci della Libia per discutere su come sganciarsi dal giogo dei trafficanti di esseri umani. Occorre costruire un percorso alternativo: il traffico di esseri umani purtroppo è uno dei principali canali economici della Libia. Se si punta a stroncarlo, bisogna offrire un circuito economico alternativo”. “C’è bisogno di un impegno diretto dei singoli stati membri, gli investimenti economici non bastano, è importante che ci sia una strategia comune dell’Europa per quanto riguarda i rimpatri”. Quest’anno l’Italia li ha aumentati del 16 per cento, ma occorre incentivare “quelli volontari e assistiti”. La ricollocazione dei migranti in Europa resta invece “il punto più delicato”: nel 2016 ne erano stati ricollocati 2.600, quest’anno finora 7.500 più altri 405 in procinto di esserlo. Per questo Minniti si appiglia all’intesa con Francia e Germania che sono d’accordo nel forzare su questo punto: “Piccoli passi, ma in avanti”. Prima della ricollocazione, ovviamente, potrebbe esserci l’approdo in porti di altri Stati. Minniti ha ricordato l’incontro urgente con il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, chiesto dal direttore dell’Immigrazione e polizia di frontiera, Giovanni Pinto, con l’obiettivo di rivedere la missione Triton: oggi prevede l’approdo dei migranti solo nei porti italiani, ma “se è una missione internazionale l’accoglienza non può essere di un solo Paese”. E a chi ritiene che questa posizione equivalga a un “pool factor”, un fattore di attrazione, Minniti risponde citando “l’etica della responsabilità”.
ACCOGLIENZA E SICUREZZA
Alla base di ogni ragionamento c’è sempre il tema della sicurezza, a prescindere da come venga declinato. Il ministro ha ripetuto quello che ha detto spesso: “Su un punto voglio essere chiaro: ho più volte sostenuto che ritengo del tutto infondata l’equazione tra terrorismo e immigrazione, lo ribadisco. E tuttavia se guardiamo a quello che è avvenuto in Europa dopo Charlie Hebdo, c’è un nesso tra terrorismo e mancata integrazione. Se questo è il cuore, l’accoglienza ha un limite nella capacità di integrazione, un limite non valicabile. Su questo mi sento personalmente impegnato. La sicurezza è uno straordinario bene comune”. Una posizione che si contrappone sia a chi alzerebbe muri sia a chi accoglierebbe tutti a prescindere. E’ a entrambe le posizioni che Minniti si è rivolto in conclusione, perché “non si gioca solo una partita di consenso di breve periodo, ma la tenuta del tessuto connettivo dell’Italia e un pezzo di futuro della nostra democrazia. Sono convinto che questo Parlamento, in vista degli appuntamenti internazionali che ci attendono, ha più ragioni per unirsi e meno per dividersi”. Non c’è da stupirsi se il breve dibattito dopo l’informativa ha dimostrato che invece la politica è più divisa che mai perché i voti della prossima elezione sembrano sempre più importanti di una visione di lungo periodo.