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Da dove arriverà la prossima crisi finanziaria?

pnr, def, Giuseppe Pennisi, europa. unione europea

La stampa cartacea, anche quella specializzata in economia e finanza, è spesso restia a dare notizia di documenti importanti per gli operatori economici e finanziari e per i cittadini in senso lato. Le ragioni sono molteplici: i giornalisti e i commentatori sono letteralmente inondati da notizie del giorno o temono di affrontare temi troppo difficili per i lettori. Quindi, i documenti importanti finiscono con l’essere ignorati.

È questo il caso di un lavoro appena pubblicato dalla Bank of England Simulating stress across the financial system: the resilience of corporate bond markets and the role of the investment funds (Simulare lo stress nei mercati finanziari: la resistenza dei mercati obbligazionari ed il ruolo dei fondi d’investimento), Financial Stability Paper No 42, 2017.

È un documento tecnico ma vale la pena leggerlo e meditarlo, se si è del mestiere, oppure almeno riassumerne il succo perché ha implicazioni importanti. Soprattutto, per l’Italia e per gli italiani.

Il documento prende l’avvio dalla constatazione che le “crisi finanziarie” non si verificano una volta sola oppure molto raramente. Quella iniziata nel 2007-2008 è, per numerosi Paesi, terminata. Era una crisi che veniva dal sistema bancario (ad esempio, i subprime loans) e la si è curata rimettendo mano alla regolamentazione del sistema bancario (ad esempio, richiedendo una maggiore capitalizzazione, migliorando la vigilanza, e via discorrendo). È difficile che la prossima crisi venga dal sistema bancario. Mentre le banche erano oggetto di tanta attenzione, pochi si sono curati dei mercati obbligazionari. Risparmi e investimenti che si sono scottati le dita con le banche e la crisi iniziata nel 2007-2008, si sono invece spostati verso l’obbligazionario, ritenendolo più sicuro. Ciò ha aumentato le dimensioni dei mercati obbligazionari.

Lo studio afferma che se ben gestito il mercato obbligazionario può dare maggiori certezze di quello azionario, soprattutto dell’azionario bancario. Pone, però, l’accento su un aspetto poco noto, almeno al grande pubblico dei risparmiatori: il liquidity mismatch. Il mercato obbligazionario è molto meno liquido di altri e ciò può causare problemi e rendere le crisi più dure ed è più difficile uscirne. Azioni e fondi si liquidano sull’istante (semmai in perdita), mentre le obbligazioni hanno tempi più lunghi e possono rendere più acuta la strada verso un bond o un altro. Verso l’intero mercato obbligazionario.

Queste considerazioni (che il documento sviluppa egregiamente) possono sembrare di meritare l’attenzione di specialisti della materia o delle aule universitarie. Ci toccano, invece, da vicino. Con un debito pubblico ormai pari al 134% del Pil e in valore assoluto a quota 2.300 miliardi di euro, dato che in grandissima parte in obbligazioni, un’eventuale crisi finanziaria che partisse dai mercati obbligazionari, ci riguarderebbe da vicino e, anche per il liquidity mismatch. Provocare un vero e proprio tsumani per il nostro debito pubblico. Con danni, pesanti, per tutti.



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