Nicola Scalzini interviene su facebook sulle esternazioni di Tito Boeri a proposito del contributo degli immigrati al sistema pensionistico italiano. Scalzini, oltre ad essere un caro amico di lungo corso, è uno studioso di vaglia. Riporto quindi integralmente la sua opinione. “Boeri interviene su una infinità di argomenti. Le sue affermazioni sono avolte condivisibili, a volte no. Ma le furberie e le manipolazioni tendenziose non sono ammissibili. Sostiene il nostro che gli immigrati versano allo Stato più di quanto ricevono e da le cifre. I contributi ammonterebbero a 8 miliardi mentre le prestazioni a loro favore aggiungerebbero appena 3 miliardi cosicché lo Stato lucrerebbe la bellezza di 5 miliardi l’anno. Niente di più falso. I contributi pensionistici vengono conteggiati e capitalizzato di anno in anno e saranno disponibili interamente da parte di coloro che li hanno versati quando maturerà il diritto (per il raggiungimento di una certa età o di anzianità di lavoro) al pensionamento. Nel frattempo queste risorse sono utilizzate dallo Stato per coprire il suo fabbisogno di cassa (…).Tornando agli immigrati essi non sono trattati in modo diverso rispetto ai cittadini italiani e se le erogazioni di cassa sono più basse dei contributi versati deriva ovviamente dal fatto che gli immigrati pensionati sono ancora pochi rispetto ai lavoratori attivi. Anche loro, come ogni cittadino italiano – conclude Scalzini – si riprenderanno “con gli interessi”ogni euro da loro versato. La presunta convenienza dello Stato ad avere una elevata immigrazione, almeno per questo aspetto e dunque una strumentale mistificazione”.
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Da Franco Gabrielli non ce l’aspettavamo proprio.”Dal mio punto di vista – ha dichiarato in un’intervista il capo della Polizia – l’accusa da cui muove questa inchiesta rappresenta una sorta di interpretazione avanzata del rapporto tra corruzione e mafia. Leggeremo le motivazioni della sentenza per vedere se questa interpretazione è troppo avanzata. Ma se viene considerata troppo avanzata, a questo punto questa inchiesta interroga il legislatore” – aggiunge Gabrielli – il quale osserva: “Credo che se non ci sono le condizioni affinché un giudice – nella sua legittima autonomia – non aderisca a questa interpretazione avanzata della Procura di Roma, vada cambiato lo schema legale del 416 bis”. A commento di questa convinzione Gabrielli espone un tesi discutibile: “Dobbiamo convincerci tutti che la corruzione è l’incubatrice delle mafie. E invece vedo un atteggiamento da scampato pericolo nei confronti della sentenza sul Mondo di Mezzo, come a dire: la corruzione è una cosa, la mafia un’altra. E questo, secondo me, è un approccio molto pericoloso”.
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La sentenza del tribunale di Roma nel processo su “Il mondo di mezzo” evoca una canzone di Fabrizio De Andrè (Storia di un impiegato):
Ascolta:
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.
Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?
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I passacarte delle Procure giurano che a Roma la mafia è attiva. Non ne dubitiamo. Del resto non è un caso che se ne siano trovate tracce anche a Brescello, nel paese di Don Camillo e Peppone. Ma il Tribunale di Roma non era chiamato a pronunciarsi sulla presenza (o meno) di associazioni di stampo mafioso nella Capitale. Il compito del collegio era quello di giudicare un caso concreto, nel quale non ha ravvisato la sussistenza di reati con quelle caratteristiche. In sostanza, se a Roma la mafia è presente, questa volta la Procura non l’ha trovata.