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Il fondo della Banca Mondiale per le donne, sponsorizzato da Ivanka, riceverà soldi da Arabia Saudita ed Emirati

Ivanka Trump, la figlia prediletta che il presidente americano ha eletto a consigliere della Casa Bianca, durante la sua presenza al G20 non ha solo occupato il posto lasciato temporaneamente libero dal padre al tavolo centrale del vertice di Amburgo, sollevando la polemica sulla discendenza dinastica poco meritocratica dell’incarico ricevuto e la contro-polemica twittarola del papà-in-chief.

Venerdì 8 luglio, insieme al capo della Banca Mondiale Jim Yong Kim, ha presentato il programma incentrato nel facilitare le donne che vogliono avviare attività imprenditoriale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Pare che Ivanka, che muove la sua attività nell’amministrazione su temi del genere, fosse scioccata dal fatto che un qualcosa di simile ancora non esistesse e per questo ha iniziato da qualche mese a lavorare al progetto insieme alla Cancelliera Angela Merkel: progetto che poi avrebbe trovato ad Amburgo il giusto palcoscenico per essere presentato.

L’iniziativa, dal punto di vista concreto, creerà un fondo fiduciario all’interno della Banca Mondiale attraverso donatori – la banca farà da coordinamento, ma il fondo sarà gestito dai donatori stessi. E chi sono questi donatori? Intanto saranno Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti a garantire 100 milioni per il fondo, come già annunciato a fine maggio da Yong Kim, pochi giorni dopo che a Riad la delegazione americana guidata dal presidente Donald Trump era stata accolta trionfalmente.

Nel giugno del 2016, quando la campagna elettorale per le presidenziali era nel momento più caldo, Trump scrisse su Facebook che “l’Arabia Saudita e molti dei paesi che hanno dato grandi quantità di denaro alla Clinton Foundation vogliono che le donne siano schiave e [vogliono] uccidere i gay. Hillary deve restituire tutti i soldi [ricevuti] da tali paesi!”. Ad ottobre, durante il secondo dei dibattiti televisivi, Trump attaccò di nuovo la candidata democratica Clinton dicendo che “l’Arabia Saudita [ti] ha dato 25 milioni di dollari, il Qatar, e tutti questi paesi. E tu parli delle donne e dei diritti delle donne? Queste sono persone che spingono i gay fuori dagli affari, fuori dagli uffici. Persone che uccidono le donne e trattano le donne terribilmente, eppure prendi il loro denaro”.

Le donazioni alla Banca Mondiale sono diverse da quelle ricevute dalla Clinton Foundation (sebbene si occupino di iniziative simili), e soprattutto non sono personalmente collegate a Trump o a sua figlia Ivanka, la quale ha fatto solo da sponsor pensante del progetto. Nella gestione della situazione si nasconde ovviamente l’ipocrisia del potere; Trump non svelerà incoerenze tra l’iniziativa della World Bank targata Ivanka e Riad, anche se i sauditi mandano un assegno milionario a un fondo che dovrebbe aiutare l’emancipazione delle donne, le quali in Arabia Saudita hanno una quantità di diritti basilari negati. C’è anche una lettura laterale: quei paesi del Golfo sono gli stessi coinvolti nella crisi di isolamento contro il Qatar, e sono attivi in operazioni di soft e hard power per portare le potenze e l’opinione pubblica mondiale dalla propria parte della divisione che s’è creata in Medio Oriente. Molti analisti hanno sottolineato che la decisione di Riad e Abu Dhabi contro Doha sia arrivata in questo momento anche perché i due paesi si sentono più protetti dagli Stati Uniti: i milioni nel fondo studiato da Ivanka sono una contropartita?

(Foto: Facebook, White House)


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