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Il voto grillino giovanile e le colpe dei liberali

Beppe Grillo

Chi guardi, nel nostro Occidente, al voto giovanile nell’ultimo anno, ha valide ragioni per mettersi le mani nei capelli. Il voto degli infratrentenni è andato al peggio del peggio: Sanders in America (un ideale compagno culturale di Papa Francesco), Corbyn in Inghilterra (una sorta di Gino Strada inglese), Melenchon in Francia, il movimento Podemos in Spagna, e ovviamente i grillini qui in Italia. Altro che liberismo selvaggio: qui siamo allo statalismo selvaggio, al rifiuto del mercato, accompagnato da pericolose spinte antioccidentali e antiatlantiche.

Eppure, nel campo liberale e pro-mercato, oltre a pensare ciò che va pensato (molti ragazzi sono irrimediabilmente cretini, tanto quanto lo furono a suo tempo i loro papà e i loro nonni), va fatta una riflessione autocritica, almeno su due piani.

Il primo è che in molti casi abbiamo rinunciato a spiegarci, a difendere le nostre idee, alla necessaria dimensione “didattica” della politica. Non basta il richiamo al voto all’ultimo minuto: occorre una semina profonda, la riconduzione delle proposte politiche a un’idea di fondo, e la capacità di spiegare che proprio il mercato e la competizione sono lo strumento migliore per il “little guy”, per la persona comune, che non ha santi in paradiso e può contare solo sulle proprie capacità e sul proprio merito.

Il secondo è che quegli altri la passione ce la mettono. In direzione sbagliata, certo. Ma riescono a costruire una “narrazione” che dà il senso della lotta, di un’impresa a cui è bello partecipare. Ovviamente dicono delle balle colossali, in genere dannose proprio per quelli che affermano di voler difendere. Ma dinanzi a ciò i liberali non devono rispondere con lezioncine fredde, con un’algida convegnistica, ma costruendo un’emozione altrettanto forte. Non è facile, in un contesto ostile, in assenza di una cornice mediatica che consenta di ingaggiare una battaglia culturale. Ma la sfida è tutta qui.



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