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Come sarà l’agricoltura del futuro. Parla Vecchioni (Bonifiche Ferraresi)

A sorpresa – ma forse neppure troppo – l’agricoltura è tornata a rappresentare negli ultimi anni uno dei settori più strategici, vitali e ad alto potenziale di sviluppo dell’economia italiana. Un antidoto contro la crisi economica in grado di valorizzare la vocazione agro-alimentare e turistica del nostro Paese, ma anche uno sbocco concreto di lavoro per migliaia di giovani che – pure in risposta alla piaga della disoccupazione giovanile – sempre più spesso affollano le facoltà di Agraria per cercare e trovare un impiego in agricoltura. Di questi argomenti Formiche.net ha parlato con Federico Vecchioni, l’amministratore delegato di Bonifiche Ferraresi, la principale azienda italiana del settore almeno quanto a estensione dei suoi terreni: ben 6.510 ettari frutto della somma dei quattro insediamenti produttivi di cui l’azienda è titolare tra Emilia, Toscana e Sardegna. Un record detenuto anche livello europeo dove non esistono società di queste dimensioni che siano anche quotate in borsa.

Il grande ritorno dell’agricoltura nel nostro Paese da quali fattori è caratterizzato?

Dalla coesistenza di due visioni diverse che non sono tra loro antitetiche o alternative, ma che al contrario convivono, l’una necessaria per l’altra. Sto parlando di tradizione e innovazione.

Come si fa a innovare in un settore così legato alle tradizioni quale quello agricolo?

L’innovazione ha dimostrato di essere assolutamente coerente con la possibilità di mantenere produzioni autoctone – quindi, al 100% made in Italy – e capaci di affermarsi nel mercato nazionale e internazionale. A condizione, però, di essere applicata con la finalità di valorizzare la qualità della produzione, di preservarne alcuni elementi di caratterizzazione sotto il profilo territoriale e di intervenire nei processi in una logica di ottimizzazione dei costi e delle efficienze produttive. Innovazione significa in questo senso anche applicazione di nuove tecnologie sia nei processi che nei prodotti.

Perché, a suo avviso, l’agricoltura sta vivendo questa nuova giovinezza industriale anche nella percezione dei più giovani?

Per tante ragioni, ma, in primis, soprattutto perché il consumatore ha maturato una cultura dell’alimentazione molto più profonda e molto più attenta ai requisiti degli alimenti. Tutto ciò ha enfatizzato l’origine della materia prima e contribuito a creare un collegamento ancora più stretto tra l’industria alimentare e il settore primario, che è costituito dall’agricoltura.

Il segreto è anche nell’integrazione tra la fase di produzione e quella di trasformazione?

Quella tra agricoltura, industria e grande distribuzione, oggi, è una progressiva integrazione virtuosa rispetto ad anni in cui, invece, gli attori della filiera si ponevano in una logica di antagonismo. Con la conseguenza di valorizzare le produzioni e di premiare chi ha dato alla caratterizzazione della materia prima una sua connotazione esplicita anche in etichetta. Il tutto, ovviamente, anche a beneficio del Made in Italy che, non a caso, in questo settore sta ottenendo risultati in costante crescita.

Conferma i dati sul sempre maggiore interessamento giovanile? Da cosa dipende a suo avviso?

Certamente, lo confermo e a questo proposito sottolineo un ulteriore elemento di primaria importanza: che le aziende anagraficamente più giovani sono contrassegnate da un grado di dinamismo nettamente superiore alle altre. Un dato fondamentale perché per fare agricoltura oggi – come dicevamo – sono necessarie sia tradizione che innovazione.

Oltre alle competenze tecniche di cui un giovane appena formato è portatore?

Un’agricoltura che evolve e si rinnova all’interno di una filiera alimentare sempre più integrata richiede figure ed esperienze professionali che fino a qualche anno fa non erano presenti nel settore. Sia nella parte della ricerca, dell’innovazione tecnologica e dell’utilizzo di nuovi macchinar,i sia anche in quella della trasformazione. Le aziende agricole – anche quello più piccole – sono ormai caratterizzate da un livello spinto di managerialità.

Un’azienda che opera nel settore che cosa si aspetta che la politica faccia – oppure non faccia – per far sì che queste potenzialità di sviluppo vengano assecondate?

Dal nostro punto di vista la discriminante è rappresentata dalla competitività e dall’efficienza del contesto burocratico-amministrativo: i tempi oggi rappresentano un elemento fondamentale anche in termini di risultato di qualsivoglia piano industriale.

In Italia, in questo senso, qual è la situazione?

Le imprese della filiera agro-industriale hanno bisogno di aumentare le loro dimensioni economiche per presidiare bene il mercato e creare sempre più valore. Ed è chiaro che questo processo non possa che risentire in positivo o negativo dell’attenzione della politica. L’aspetto fondamentale è la programmazione, soprattutto nei rapporti con le politiche comunitarie. Dall’altra parte, invece, c’è molto da fare nei Comuni e nelle Regioni, i cui processi autorizzativi devono prevedere una tempistica che sia in linea con le dinamiche del mercato. Ci vogliono velocità diverse rispetto a quelle della classica amministrazione italiana.



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