Lungo la tribolata via crucis delle riforme finanziarie vaticane starebbe per rotolare un’altra testa. Quella del presidente dello Ior, Jean-Baptiste de Franssu. C’è chi scommette nelle sue dimissioni entro l’estate. Forse come effetto domino per il forzato allontanamento del prefetto della Segreteria per l’economia, George Pell, in congedo per difendersi a Melbourne dalle accuse di abusi sessuali. Letta così, tutti gli uomini vicini al cardinale australiano sarebbero in bilico, tra chi ha già lasciato, come il revisore generale Libero Milone, e chi, come il banchiere francese, potrebbe farlo a breve. Curioso è che se di guerra tra fazioni si tratta, gli schieramenti sono più fluidi di quanto si pretenda ad una prima analisi. L’unico elemento che emerge con chiarezza è il ruolo sempre più incisivo della Segreteria di Stato di Pietro Parolin e del sostituto Angelo Becciu. Del resto tra Pell, architetto delle riforme che pensava di fare a meno della Curia (e degli italiani), e la Terza Loggia, negli ultimi tre anni non sono mancati pubblici bisticci. E Francesco, che in un primo momento aveva dotato il cardinale australiano di enormi poteri, glieli ha via via ridimensionati.
SOMMOVIMENTI IN VISTA ALLO IOR?
Delle imminenti dimissioni di de Franssu ne ha scritto Massimo Franco sul Corriere della Sera due giorni fa. Lo aveva anticipato il mese scorso il vaticanista di Repubblica, Paolo Rodari. Non è un’indiscrezione di stagione. Emiliano Fittipaldi, autore di uno dei volumi della seconda Vatileaks, a luglio 2016 sull’Espresso scriveva: “L’infinita guerra tra fazioni rischia di fare a breve una nuova vittima: il presidente dello Ior”. È passato un anno e l’economista francese è ancora al suo posto. Anche se Franco lo descrive “esautorato”, sempre più isolato nella cittadella vaticana.
DE FRANSSU, MILONE E PELL
Fu Pell tre anni fa a suggerire de Franssu allo Ior, in sostituzione del banchiere tedesco Ernest von Freyberg. Erano i tempi in cui il ranger di Ballarat si muoveva con determinazione, forte della fiducia e di un conseguente mandato papale quasi illimitato. Erano gli effetti del motu proprio di febbraio 2014 che ha istituito il Consiglio e la Segreteria per l’economia e l’ufficio del Revisore generale. A Pell si deve anche il suggerimento del revisore generale, indicato nel 2015 in Libero Milone. Il manager ha lasciato a metà giugno senza dare spiegazioni, dopo appena due anni di lavoro.
UNA BANCA IN DISCERNIMENTO
L’apogeo del potere Pell lo raggiunge nel luglio 2014, quando il Papa trasferisce alla sua Segreteria buona parte delle competenze dell’Apsa. Lo stesso giorno c’è il cambio al vertice dello Ior. La mattina del 9, al passaggio di consegne tra i due presidenti dello banca del Papa, si ostentano sorrisi nella sala stampa vaticana. Ma c’è uno scambio di battute che illumina, in parte, qualcosa di quanto è avvenuto in seguito. Si diceva quella mattina che lo Ior si sarebbe occupato sempre meno di investimenti. Eppure von Freyberg dichiarò ai giornalisti che andava via perché non esperto di investimenti. Infatti de Franssu è specializzato in asset management. Evidentemente la vocazione della banca era ancora in una fase di discernimento. Dentro e fuori il torrione di Niccolò V.
IL RUOLO DI MALTA
De Franssu era già di casa in Vaticano. Prima in Cosea, la commissione di studio sull’organizzazione economica-amministrativa attiva tra il 2013 e il 2014, poi membro laico del Consiglio per l’economia. Cruciale in entrambi gli organismi il ruolo dell’economista maltese Joseph Zahra: di Cosea è stato presidente, del Consiglio per l’economia è vicecoordinatore.
PROGETTI NAUFRAGATI
Nel luglio di tre anni fa lo Ior si presentava dunque pubblicamente come piccola banca a servizio della Curia e degli ordini religiosi. Ma già qualche mese prima – lo rivela un documento pubblicato da Francesca Immacolata Chaouqui nel suo Nel nome di Pietro – de Franssu e Zahra ai tempi di Cosea proponevano un vestito differente, sostanzialmente aderente ai criteri di una banca d’affari, capace di occuparsi “di titoli finanziari quanto del patrimonio immobiliare, concentrandosi su un approccio ‘rischio e rendimento’ basato sulle necessità dei clienti”. Qualcosa in quella direzione si è cercato di fare, senza successo. Nel 2015 il cda dello Ior approva un progetto per la costituzione di una società di investimento a capitale variabile (Sicav) in Lussemburgo. La Commissione cardinalizia di vigilanza lo congela, ne parla al Papa e Francesco lo boccia. L’iniziativa emerge in maggio e svela due correnti dentro il torrione su come interpretare il ruolo della banca: tra chi la immagina come strumento anche per fare soldi, con pubblica sconfessione di de Franssu, e chi pone l’accento sul servizio. Portabandiera della seconda visione sarebbe Gian Franco Mammì, non a caso promosso nel novembre successivo a direttore generale dell’istituto da Papa Francesco nel corso di una apostolica visita agli uffici della banca. Pochi mesi dopo due consiglieri si dimettono dal board. Sono Clemens Börsig e Carlo Salvatori. Il comunicato che ne dà notizia sancisce ufficialmente l’esistenza di due correnti: “Tale passo va compreso nel quadro delle legittime riflessioni e opinioni circa la gestione di un Istituto di natura e finalità così particolari come lo Ior”.
“L’IRRUENZA” DEL RANGER AUSTRALIANO
Pell si era mosso spedito. Troppo, per qualcuno. In una intervista del 2014 rivela di avere scovato oltre un miliardo di euro che non compare nel bilancio della Santa Sede. La Segreteria di Stato la prende male. Sono fondi – si dice – utilizzati in soccorso di popolazioni e congregazioni religiose in paesi a rischio. Per questo la riservatezza è necessaria. Il portavoce Federico Lombardi commenta che non si tratta di fondi neri. Dagli Stati Uniti arriva in soccorso la rivista dei gesuiti America Magazine: dando conto di una nota riservata della Segreteria di Stato elaborata per chiarire la vicenda all’interno del Vaticano, sminuisce e, di fatto, ridicolizza la portata della scoperta di Pell.
LE FRIZIONI CON LA TERZA LOGGIA
Non è che la prima frizione evidente con la Terza Loggia. Un secondo scontro è sul ruolo attribuito a PricewaterhouseCoopers (PwC). Pell firma un contratto triennale con la società per una revisione esterna dei bilanci. Tutti gli enti del Vaticano dovranno fornire i documenti richiesti. Dura poco: monsignor Angelo Becciu stoppa l’operazione. Per il ministro degli Interni vaticano la Segreteria per l’economia non aveva le competenze per firmare il contratto. A stretto giro Pell controreplica e rivendica il suo diritto. Il diverbio diventa pubblico. Sa di braccio di ferro. Lo è. Alla fine PwC rimane come semplice consulente a cui gli enti della Santa Sede possono decidere di rivolgersi o meno in piena discrezionalità.
LA CURIA PROTESTA PER I SUPER POTERI DEL CARDINALE AUSTRALIANO
Escono allo scoperto i malumori sul potere di Pell. La richiesta di un ridimensionamento del suo dicastero rumoreggia in Vaticano e se ne sente eco fuori le mura. A febbraio 2015 l’Espresso pubblica documenti riservati di riunioni in porpora. Ne esce il quadro di due fazioni: una capitanata da Pell, l’altra da Parolin. Contro il primo si annoverano i cardinali Jean-Louis Tauran e Giovanni Battista Re, di fatto in sostegno all’Apsa di Domenico Calcagno. Accusano Pell di “sovietizzare” le finanze vaticane. Francesco accoglie i suggerimenti e riporta l’Apsa alle antiche competenze, sancendo la distinzione tra chi amministra il patrimonio (Apsa) e chi controlla (Pell e la Segreteria per l’economia). È una vittoria per il cardinale Calcagno, che dell’Apsa è presidente. Singolare vicinanza di un’eminenza vicina al vecchio corso di Tarcisio Bertone con la nuova Segreteria di stato di Parolin.
ULTIMI SCONTRI E RESA DEI CONTI
L’ultimo scontro sulle competenze è cronaca di poche settimane fa, e ancora sul ruolo di PwC. L’Apsa scrive a tutti gli enti vaticani invitandoli a sottoporsi alle attività di revisione della società esterna. Pell e il revisore generale Milone precisano: Apsa non ha nessuna autorità per avanzare una simile richiesta. L’episodio tradisce quello che è un duello ormai conclamato. Nei mesi precedenti non erano mancate da parte della Segreteria di Pell frecciate più o meno indirette all’Amministrazione del patrimonio della Santa Sede, considerata più resistente di altri a sottoporsi alle riforme. O alla ricca Propaganda Fide. Fatto sta che di lì a poco il revisore generale Milone si dimette. Su Pell si abbatte l’incriminazione dall’Australia per presunti abusi sessuali di decenni fa. Per difendersi, ottiene (o forse gli viene caldamente suggerito), un congedo a tempo indeterminato dagli incarichi in Vaticano. Dove probabilmente non tornerà più con ruoli di peso. La Segreteria è attualmente gestita da monsignor Luigi Mistò che ad Avvenire ha dichiarato che la riforma economica prosegue e ha già dato “importanti risultati”.
NON SOLO SOLDI. ANCHE LA DOTTRINA IN BATTAGLIA?
Bergoglio aveva distribuito le cariche apicali dei nuovi organismi economici varati nel 2014 senza tenere conto delle tendenze dottrinali: al cardinale progressista Reinhard Marx ha dato il coordinamento del Consiglio (ma gli affianca il maltese Joseph Zahra, uomo di fiducia di Pell), al tradizionalista cardinale australiano ha consegnato le chiavi della Segreteria, che si annunciava allora come un super ministero dell’economia. Nel mezzo ci sono stati i due sinodi sulla famiglia che hanno visto Pell schierato sul fronte conservatore. Pell è firmatario di una lettera di tredici cardinali preoccupati che l’esito del Sinodo fosse già stato deciso da pochi, influenti porporati progressisti. Poi ci sono stati i borbottii di buona parte della Curia per l’accentramento dei poteri nelle mani dell’australiano e del suo entourage. Schieramenti trasversali, dove la Segreteria di Stato si conferma potente, con l’appoggio di curiali storici come Calcagno.
COCCOPALMERIO ALLEGGERISCE IL DICASTERO
Tra i critici più forti di Pell c’è il Pontificio consiglio per i testi legislativi. È da lì che esce l’indicazione a restituire all’Apsa le competenze che stavano transitando alla Segreteria per l’economia. Presidente è il cardinale Francesco Coccopalmerio, bergogliano doc e suo ermeneuta ufficiale del contestato capitolo VIII di Amoris Laetitia sulla comunione ai divorziati risposati. Al contrario il ranger ottiene l’appoggio del cardinale sudafricano Wilfrid Fox Napier, membro del Consiglio per l’economia, lui stesso firmatario della lettera dei tredici e manifestamente critico verso quei dicasteri che ponevano resistenze alle riforme.
ALTRI GUAI GIUDIZIARI E NUOVE NUBI SULLE FINANZE DI PIETRO
Se Pell da due settimane è in Australia per affrontare i tribunali, un altro guaio giudiziario coinvolge un uomo chiave dell’amministrazione vaticana. Il cardinale Calcagno dell’Apsa è indagato in Italia per malversazione. Lui si dichiara estraneo alle accuse. Cittadino vaticano, la procura di Savona titolare del fascicolo ha dovuto intraprendere la strada lunga della rogatoria internazionale per notificargli correttamente l’avviso di conclusione indagini. In caso di rinvio a giudizio, per il Vaticano si tratterebbe di dovere decidere che fare del vertice di un dicastero cruciale, cassaforte della Santa Sede.