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Così l’Iran sta cercando di conquistare il Medio Oriente

Da quando la guerra civile siriana è iniziata, l’Iran s’è subito piazzato alle spalle del regime del presidente Bashar el Assad. Assad è alawita, una setta sciita su cui la Repubblica islamica rivendica protezione e controllo. Allo stesso tempo la Siria è un asset importante per Teheran: è uno degli sbocchi mediterranei, come il Libano, dove gli iraniani hanno marcato il proprio territorio facendo crescere fino al potere sul paese il partito/milizia Hezbollah (nota di colore: recentemente Donald Trump ha ospitato alla Casa Bianca il primo ministro libanese Saad Hariri e lo ha ringraziato per aver combattuto Hezbollah, ignaro che invece Hez dà sostegno ad Hariri). Dalla Siria al Libano, dall’Iraq allo Yemen, il sostegno iraniano a partiti armati con cui condividono ideologia, credo e mire politiche (o geopolitiche), è la base delle dinamiche con cui gli ayatollah stanno cercando di aumentare il proprio controllo politico, economico, commerciale, su una buona parte di Medio Oriente in cui hanno influenza, sfruttando il disimpegno americano, la partnership con la Russia, e animando il contrasto con le monarchie del Golfo.

LE QUDS FORCE

La Siria è stata una cartina tornasole di queste attività, in piedi da anni. Il vettore che muove le linee di questa strategia sono i Guardiani della Rivoluzione, il corpo militare (e politico) che con le sue unità speciali, le Quds Force del generale Qassem Suleimani, tiene in contatti sul campo. Le Quds Force sono un’entità terroristica per gli Stati Uniti, ma per la narrativa sciita sono una realtà quasi da venerare: quando Suleimani scende sul campo di battaglia e va in visita alle forze proxy iraniane in giro per il Medio Oriente, è accolto come un eroe, la gente si scatta selfie con lui, un codazzo di fan lo segue passo passo.

IL SAGGIO DI BUZZFEED

Il giornalista iraniano di BuzzFeed Borzou Daragahi ha ricostruito uno spaccato concreto del mondo creato da Teheran a cavallo del Medio Oriente un saggio, frutto di ricerche durate oltre sei mesi. Ricerche sul campo, durante le quali ha potuto entrare in contatto per esempio con i miliziani iracheni filo-iraniani che stanno combattendo il Califfato. Si tratta di uomini appartenenti ai partiti milizia che osteggiarono l’invasione americana nel 2003 (si opposero con le armi e a colpi di autobombe) che nel corso del tempo – e anche grazie al governo sciita voluto dagli americani e guidato da Nouri al Maliki – sono diventate una realtà politica, sociale, culturale, militare, dominante in Iraq. Ora quelle stesse milizie, come la famigerata Lega di Giusti, combattono sullo stesso lato della Coalizione internazionale nella liberazione dallo Stato islamico, ma sono un vettore iraniano che lotta adesso per guadagnarsi una presa ancora più salda sul futuro del paese.

I PROXY DI TEHERAN

I miliziani sciiti filo-iraniani sono spesso nominati nel conflitto allo Stato islamico, così come per la difesa di Assad. L’esercito siriano è morto, rappresentato ormai da poche unità e rimasto in piedi soltanto grazie all’aiuto aereo russo e a quello delle milizie, appunto. L’Iran – che in Siria ha schierato anche militari convenzionali – ha mosso migliaia di uomini delle fasce sociali più basse e più devote, li ha presi dai rispettivi paesi, Iraq, Afghanistan (i Fatemiyoun si chiamano questi), Siria, li ha portati in caserme per addestrarli e li ha ributtati a puntellare il regime di Damasco, invasati dall’ideologia. Proxy per un conflitto che Teheran combatte con interesse contro i ribelli, in molti casi mossi o sostenuti dai temuti nemici politici (prima che religiosi) sunniti del Golfo.

HEZBOLLAH

Discorso a parte vale per Hezbollah: il Partito di Dio libanese è da anni addestrato, finanziato, guidato, da Teheran. Sostanzialmente con uno scopo: controllare il Libano e combattere Israele, lo stato ebraico è l’altro grande nemico regionale (ed esistenziale) dell’Iran – tanto che le intelligence di Gerusalemme ritengono che una volta che in Siria sarà finita, gli Hezbollah lanceranno un’altra guerra contro Israele, rafforzati dai passaggi di armamenti iraniani (per questo prevengono, e ogni tanto bombardano convogli di armi sospette dirette in Libano). Gli uomini di Hezbollah sono ormai talmente fidati per l’Iran che, secondo un comandante che ha parlato con BuzzFeed, circa duemila di loro sono in Iraq per fare formazione alle decine di migliaia di nuove reclute.

LA FORZA DELLE MILIZIE

Questo programma di addestramento e accompagnamento, scrive Daragahi, è talmente opaco da non avere un nome specifico: è però frutto di un progetto minuzioso, che segue attentamente ogni reclutato, con un mix di misticismo – sono i “Protettori dei Santi”, dicono i media di stato – e obiettivi politici per creare un nuovo ordine regionale. A chi si arruola anche una ricompensa materiale: stipendi decenti rispetto agli standard, ma regole rigorose e continua sorveglianza. Spiega un ex ufficiale israeliano al giornalista del sito americano che è una strategia tremenda, perché “non importa se tu hai F-16 o F-35”, non puoi combattere contro soldati che si fondo e confondono con la popolazione; che sono la popolazione. È una “visione grandiosa”, che striscia anche in paesi dove non ci sono conflitti in atto, come il Bahrein, la stessa Arabia Saudita o la Nigeria (al centro dell’Africa una versione disarmata di Hezbollah fa già il suo lavoro politico, racconto la Bloomberg). Le milizie politiche sciite sono talmente incrostate nella società irachena che ormai hanno delle proprie emittenti, società da gestire, interessi, sponsor: e la mossa dello scorso anno con cui il governo di Baghdad ha formato le Popular Mobilization Units – l’entità ombrello che le racchiude creata per combattere l’IS – è di fatto un riconoscimento del loro ruolo e l’inquadramento all’interno dell’esercito come unità parallele.

(Foto: Twitter, il generale Qassem Suleimani tra i miliziani che combattono lo Stato islamico)

 


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