Sulla carta è certamente una svolta: la lettera di Fayez al Serraj giunta lunedì al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, apre nuovi scenari sul fronte libico, anche se per ora i dettagli sono pochi ed è difficile ipotizzare gli sviluppi. Il premier del governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu ha chiesto “un sostegno tecnico con unità navali al contrasto del traffico di esseri umani”: così Gentiloni ha spiegato il contenuto della lettera, aggiungendo che “è all’attenzione del nostro ministero della Difesa”, che le decisioni saranno prese “d’intesa con la Libia e, innanzitutto, con il Parlamento” e che questa richiesta “può rappresentare un punto di novità molto importante nella lotta ai trafficanti”. Detto che la lettera è giunta a Roma alla vigilia dell’incontro di Parigi tra al Serraj, il generale Khalifa Haftar ed Emmanuel Macron ed è stata resa nota il giorno successivo, al termine dell’incontro tra il premier libico e quello italiano a Palazzo Chigi, la richiesta pone problemi politici e operativi.
Le acque libiche
Operare nelle acque territoriali della Libia è possibile solo su richiesta di quello Stato, che oggi è uno Stato un po’ particolare. Non è chiaro se siano d’accordo sulla richiesta altri membri del governo Serraj o lo stesso Haftar e comunque, al momento, si sta lavorando come se questo tipo di ostacolo non ci sia. Ma la prima stranezza che balza agli occhi è che la richiesta libica sarebbe una delle due condizioni, insieme con una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, per passare finalmente alla fase 2-b della missione Eunavfor Med-Sophia, la missione militare europea comandata dall’ammiraglio Enrico Credendino e appena prorogata fino al 31 dicembre 2018, che consentirebbe di procedere “a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico o la tratta di esseri umani” anche nelle acque libiche e non solo in alto mare com’è oggi. Gentiloni non ha fatto cenno a questa missione, dunque la richiesta libica è rivolta unilateralmente all’Italia: anche considerando la tempistica, con la richiesta accavallata al vertice di Parigi, sembra evidente che al Sarraj da un lato si appoggia a Macron e dall’altro chiede aiuto all’Italia. Una politica dei “due forni” in salsa libica.
Le regole d’ingaggio
Nel felpato linguaggio di Gentiloni l’aggettivo “tecnico” sembra (di proposito) fuorviante. Parlare di “sostegno tecnico” non ha senso dal punto di vista militare perché non si tratta di addestrare la guardia costiera libica né di fornire assistenza tecnica alle motovedette che abbiamo ceduto, compiti già in carico all’Italia. Stiamo parlando di navi militari da mandare nelle acque libiche per contribuire a fermare il traffico di migranti e quindi, premesso che la Marina militare ha uomini e mezzi per svolgere al meglio questo lavoro, bisogna capire di che lavoro si tratti. Tra ministero della Difesa e ministero degli Esteri i tecnici stanno valutando tutti gli aspetti militari e legati al diritto internazionale per definire in dettaglio le regole d’ingaggio. E’ probabile che venga coinvolto anche l’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, per l’assistenza a chi è ammassato sulle coste libiche e che lì sarà respinto se proverà a imbarcarsi. Dopo gli scontri armati dei giorni scorsi tra i trafficanti e la Guardia costiera libica, nelle regole d’ingaggio dovrà essere ben definito anche l’uso delle armi. Molti cominceranno a parlare di “blocco navale”, tecnicamente complesso e giuridicamente considerato un “atto di guerra”, e a maggior ragione le modalità di intervento dovranno essere chiare. Esattamente vent’anni fa, nel 1997, il governo Prodi varò una sorta di blocco navale nel Canale d’Otranto per l’emergenza albanese e la Marina doveva effettuare “opera di convincimento”: non sempre andò bene perché il 28 marzo, Venerdì Santo, l’imbarcazione Kater i Rades si scontrò con la corvetta Sibilla e affondò causando oltre 100 vittime tra morti e dispersi.
Appoggio bipartisan
L’annuncio di Gentiloni ha causato l’immediato appoggio di parte dell’opposizione che da tempo chiedeva l’ingresso in quelle acque. Paolo Romani e Maurizio Gasparri (FI) con Roberto Calderoli (Lega) premono perché si decida con urgenza e dalla maggioranza il presidente della commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, ha anticipato che si sta lavorando per arrivare a “un’ampia maggioranza” parlamentare. Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, l’ha definito “un salto di qualità nel supporto logistico alla Guardia costiera libica e nel contrasto ai trafficanti di uomini” e la richiesta di al Sarraj “non è stata una sorpresa, ma il frutto del lavoro svolto”.
Ong, il tempo è scaduto
Minniti ha esposto un’informativa sull’immigrazione alle commissioni Esteri e Difesa del Senato. Venerdì 28 luglio si terrà la seconda e ultima riunione al Viminale con i rappresentanti delle Ong che presenteranno le loro proposte di modifica al codice di condotta da rispettare: “L’abbiamo proposto come Governo, discusso in Parlamento e con l’Ue: a un certo punto le discussioni finiscono…” ha detto il ministro per il quale il codice è “essenziale per la sicurezza dell’Italia” visto che le Ong, cioè organizzazioni private, hanno effettuato più del 40 per cento dei salvataggi. Né è comprensibile, ha aggiunto, il loro no a imbarcare la polizia giudiziaria che “non ha funzione di antipirateria, ma è a tutela di chi agisce nel salvataggio”. Al 26 luglio erano arrivate 94.445 persone, il 6,89 per cento più dell’anno scorso, un trend in calo secondo il ministro che ha ricordato le 10mila persone salvate dai libici in due mesi e i 5mila rimpatri volontari dalla Libia ai paesi di provenienza in sei mesi (dati Organizzazione internazionale per le migrazioni).
Il ruolo dei sindaci libici
Minniti ha annunciato che nella seconda metà di agosto i 13 sindaci libici da lui incontrati il 13 luglio saranno a Roma per un secondo round. Sono i sindaci delle città più coinvolte nel traffico di esseri umani e ciascuno di loro in quella riunione presentò un preciso piano di richieste per lo sviluppo economico e la ricostruzione urbanistica delle loro aree, dove il traffico è fonte imprescindibile di sostentamento. Aiutarli significa anche contribuire a frenare il flusso dai confini meridionali della Libia dai quali, ha avvertito Minniti, potrebbero passare non solo migranti, ma terroristi in fuga dopo le sconfitte militari. Un aiuto che dovrebbe sostenere anche l’Europa perché “il confine meridionale della Libia è il confine meridionale dell’Europa”.
Triton e Sophia
Il ministro ha ripetuto che sono in corso discussioni con l’Agenzia Frontex per rivedere il piano operativo della missione Triton, per la quale l’Italia chiede l’accoglienza delle navi nei porti di altri Paesi “almeno in casi di emergenza”, mentre c’è stata polemica sull’Operazione Sophia. Il 25 luglio il Consiglio dell’Ue ha prorogato Eunavfor Med fino al 31 dicembre 2018 integrandone il mandato con “un meccanismo di controllo del personale in formazione” della guardia costiera libica, “nuove attività di sorveglianza” e raccolta di “informazioni sul traffico illecito di esportazioni di petrolio dalla Libia” e maggiore “scambio di informazioni sulla tratta di esseri umani” con Frontex ed Europol. Romani ha contestato, non a torto, che il primo punto non è chiaro e Minniti ha replicato che l’adesione italiana alla proroga era legata all’accettazione della suddivisione del peso dell’accoglienza e al sostegno nell’aiuto alla Guardia costiera libica, aggiungendo che lo “sviluppo della richiesta di al Sarraj” potrà avvenire “in connessione con Sophia”, ma senza spiegare se anche le navi di Eunavfor Med entreranno in futuro nelle acque libiche o no.
L’intelligence e i capi del traffico
Romani, che è anche membro del Copasir, nel dibattito ha detto che i servizi segreti conoscono “nome, cognome, mogli e figli di chi organizza il traffico di migranti” sollecitando quindi un intervento mirato. Pane per le forze speciali, naturalmente, purché arrivi un input politico.