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Ecco come Merkel punta a bloccare gli acquisti stranieri di aziende tedesche

Deutsche Bank, bund

Il decreto approvato questa settimana dal governo tedesco per contrastare acquisti da parte di investitori non appartenenti all’Unione europea è passato in sordina, eppure non si tratta di poca cosa. Nel febbraio di quest’anno Italia, Francia e Germania avevano chiesto all’Ue di rafforzare le norme e il diritto di veto, al fine di tutelare maggiormente il know how europeo, riportava un servizio del canale radiofonico Deutschlandfunk. Ma visto che i tempi di Bruxelles possono essere lunghi il governo tedesco ha pensato bene di portarsi avanti, per contrastare la voglia eccessiva di fare shopping.

Già l’anno scorso era finito in mani cinesi il produttore tedesco di robotica Kuka. Ed è, infatti, soprattutto la Cina la spina nel fianco di Berlino, nonostante proprio Pechino stia diventando un interlocutore sempre più importante, anche per via delle intenzioni protezionistiche da parte del presidente americano Donald Trump. Come spiegava in un articolo della fine dello scorso anno il periodico tedesco manager-magazin, l’obiettivo dei cinesi sarebbe quello di diventare, entro il 2050, il primo Paese al mondo per know how tecnologico. Che Pechino pensi di farlo acquistando in massa imprese tedesche ad alto valore tecnologico, non piace ovviamente al governo tedesco.

Secondo uno studio della Ernst & Young, i cinesi l’anno scorso hanno acquistato 58 imprese aziende tedesche per un valore complessivo di investimenti pari a 11,6 miliardi di euro, un valore 20 volte superiore rispetto al 2015. Il provvedimento emesso l’altro ieri prevede norme severe riguardo l’acquisto di imprese con una valenza anche sociale – per esempio quelle dell’acqua, dell’energia elettrica e del gas – oppure la cui vendita potrebbe mettere a rischio l’ordine e la sicurezza della Repubblica Federale. Il che riguarda principalmente tecnologia militare. Secondo il nuovo decreto, in futuro sarà più difficile per gli investitori fuori dall’area Ue comprare anche imprese con un alto know how tecnologico, per esempio quelle che forniscono i software o programmi per le centrali nucleari, elettriche, per istituti di credito, banche, ospedali e aeroporti o compagnie che hanno accesso ai dati nella “cloud”.

Come spiegava poi il quotidiano Süddeutsche Zeitung, la decisione è stata preparata dal ministero dell’Economia. Il sottosegretario Matthias Maching ha spiegato che l’economia tedesca è e resta ovviamente un’economia aperta, il che però non vuole dire che si sia ingenui. È da tempo che Berlino chiede sempre alla Cina che gli imprenditori tedeschi godano dello stesso trattamento degli imprenditori cinesi in Germania. Richiesta che fino a ora non ha però sortito grandi effetti, nemmeno in seguito al bilaterale tra Merkel e il presidente cinese Xi Jinping arrivato a Berlino un giorno prima del G20, tenutosi settimana scorsa ad Amburgo.

Inoltre, d’ora in poi il governo si riserva più tempo per dare o meno il via libera. Non più due mesi come in passato, ma quattro. Tempi raddoppiati dunque, perché, spiega il governo, le verifiche saranno più impegnative. Per certe imprese verranno esaminate anche le eventuali informazioni raccolte dai servizi segreti e inoltre si procederà all’attenta verifica sul reale Paese di origine dell’acquirente, onde evitare sedi fittizie in un Paese europeo, mentre il quartier generale si trova di fatto in uno extra europeo.

La decisione è diretta conseguenza del fatto che l’anno scorso il governo non aveva gli strumenti giuridici necessari per impedire l’acquisizione da parte dei cinesi di Midea della compagnia di robotica Kuka di Augsburg. Il fatto che non fosse di importanza strategica sul piano della sicurezza nazionale aveva legato le mani a Berlino. Anche l’Aixtron, che produce macchinari speciali, aveva stimolato gli appetiti di un investitore cinese. E se, infine, l’affare non si era concluso, i tedeschi lo devono innanzitutto agli Usa, i quali avevano posto il veto sull’acquisizione della consociata di Aixtron in America. Secondo Washington la vendita avrebbe comportato rischi per la sicurezza nazionale.

Forse Berlino non si attendeva il plauso da parte della grande industria tedesca, certo però nemmeno la reazione di aperta critica che ha suscitato la delibera. Da parte di rappresentanti della Confindustria tedesca, Bdi, infatti, si sono levate diverse voci di protesta. Queste misure sortirebbero un unico effetto, ha fatto sapere Stefan Mair, membro del consiglio amministrativo della lobby del Bdi, e cioè quello di bloccare progressivamente investimenti stranieri in Germania.

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