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Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Mps, ecco perché è falso che sono state salvate

Ultimamente mi sto occupando per lavoro di banche in crisi. Così capita che qualche amico mi chieda perché dal governo e dagli ambienti bancari continuino a dire che era giusto salvare le due ex popolari venete a spese dei contribuenti e, poi, mettere dentro Mps 4 miliardi e mezzo, sempre dei contribuenti, per consentire alla storica banca senese di uscire dalle secche in cui si trova ormai da 10 anni.

Non è facile dare una risposta sensata a una domanda sbagliata, ma ci proverò. In realtà la domanda sarebbe interessante se fosse vero il presupposto, cioè se le banche venete fossero state salvate, ma contrariamente a quanto pensa la maggioranza delle persone, così non è. Ma come, e gli oltre 5 miliardi a Banca Intesa perché se le accollasse? E tutta la manfrina con l’Europa per concordare l’operazione? Certo, tutto questo è realmente accaduto, così come nelle prossime settimane accadrà che il Tesoro verserà oltre 4 miliardi (più altri accessori) per l’aumento di capitale del Monte, ma quello che non è vero è che si tratti di salvataggi.

L’idea che queste banche siano state salvate è nata perché c’è chi confonde confondendo la semplicità con il semplicismo. Non volendo fare la fatica di usare le parole più appropriate anche se forse meno comuni, si è sempre parlato di salvataggi quando tecnicamente si tratta, nei diversi casi citati, di formule molto lontane dal puro e semplice salvataggio. E anche profondamente differenti fra loro. Hanno sempre usato questo termine i giornali, i politici, persino in qualche caso le stesse autorità di vigilanza, cui era ben noto che le procedure adottate non c’entravano niente con i classici salvataggi.

Partiamo da un punto che può apparire sorprendente, ma che è la semplice constatazione della realtà: dal 2007 a oggi in Italia non c’è stato alcun salvataggio bancario, né, fino alla settimana scorsa, alcun uso di denaro pubblico per le banche. Qualunque cosa di diverso vi abbiamo detto è falsa o, almeno, imprecisa. E se state pensando ai famosi Tremonti Bond (più tardi derubricati a Monti bond, cioè i prestiti concessi dallo Stato ad alcune banche) sappiate che sono stati restituiti con alti interessi, quindi il contribuente ci ha guadagnato, oppure convertiti in quella piccola parte del capitale di Mps che lo stato già detiene e che non c’è motivo di pensare che diventerà perdita certa.

Peraltro, i casi veneti e Siena sono fra loro molto diversi. Proviamo a fare chiarezza, e già che ci siamo parliamo anche delle 4 cosiddette good banks, Etruria e le sue sorelle per intenderci, che hanno da poco finito il loro percorso di uscita dalla crisi.

Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza non sono state salvate, ma nei loro confronti è stata avviata la procedura di liquidazione. In altre parole, semplicemente esse non esistono più, se non per gestire la propria scomparsa: la vendita delle poche attività che sono rimaste e la distribuzione di questi proventi ai creditori rimanenti. Il capitale è stato azzerato, quindi gli azionisti hanno perso tutto (ma loro erano i titolari di quello che non a caso si chiama  capitale di rischio; il dubbio se erano consapevoli della loro posizione o se sono stati vittime di inganni o raggiri ci sta tutto, ma è un altro tema. Magari ne discuteremo un’altra volta). Gli amministratori e gli alti dirigenti sono nel mirino della giustizia civile (azioni di responsabilità con richiesta di danni) e penale (rinvii a giudizio per numerose ipotesi di reato) e delle autorità di controllo (sono state inflitte loro multe da Consob e da Banca d’Italia per milioni di euro). Se pagheranno o no per i loro comportamenti dipenderà dalla tempestività e dall’efficienza della giustizia, ma di nuovo è un tema che va al di fuori della domanda se le banche sono state salvate o no.

Ciò che è stato salvato sono: i risparmi dei depositanti, i depositi delle imprese presso quelle banche, le obbligazioni ordinarie (che sono ancora prevalentemente risparmi delle famiglie), i prestiti alle persone e alle aziende, che altrimenti avrebbero dovuto rimborsarli prontamente, con una conseguente grave crisi di liquidità nel Nord Est, ma anche in altre importanti aree del Paese. E sono stati salvati anche una buona parte dei posti di lavoro, purtroppo non tutti, e i crediti dei fornitori e la loro possibilità di continuare a lavorare per un cliente importante, almeno dal punto di vista dimensionale. Questi sono i pezzi delle due aziende che sono stati salvati, non le aziende in quanto tali. La differenza sembra sottile, ma è fondamentale. Tutto questo era degno di tutela? E questo obiettivo vale i 5 miliardi presi dalle nostre tasse che sono stati spesi? C’erano soluzioni migliori e magari più a buon mercato? È ovvio che su questi interrogativi si possono avere opinioni diverse, auspicabilmente basate su informazioni corrette e non sulle vulgate pressapochiste di cui si alimentano le chiacchiere da bar. Per inciso, se vi interessa la mia opinione, io credo che gli interessi protetti fossero degni di tutela, che il prezzo sia stato molto alto, che più che la soluzione siano stati sbagliati i tempi. Ma tant’è.

Le stesse cose valgono per le cosiddette 4 good banks, perché anche loro sono state poste in liquidazione, i responsabili della loro gestione sono sotto torchio e i risparmi, i prestiti e buona parte dei lavoratori sono stati preservati (qui ci fu il problema degli obbligazionisti subordinati che vennero esclusi dal perimetro della protezione e per i quali poi è stato previsto un meccanismo di indennizzo ancora in corso di attuazione). Anche qui il conto è stato nell’ordine di 4 miliardi, ma la differenza – essenziale! – è che non li ha pagati il contribuente, ma le altre banche! Sì, per quanto strano possa apparire, nel settore creditizio succede che se un concorrente che agiva slealmente, quindi già danneggiandoti, finisce in fallimento, tu devi pure pagare il conto. Sarà una bizzarria, ma quel che qui importa è che il contribuente non ci ha messo un centesimo.

“E adesso vorrai dirci che non è un salvataggio neanche quello di Mps?”. Proprio così. Semplicemente perché il Monte non è andato in fallimento. Certo, come detto, si dibatte da due lustri in una crisi profonda, si è mangiato 11 miliardi di aumenti di capitale (fatti tutti da privati, italiani e stranieri, non dallo Stato) ma oggi è un pochino sopra la linea di galleggiamento. Ed è proprio per questo che l’Europa ha acconsentito all’impiego di capitali pubblici, perché è un intervento precauzionale e non un salvataggio, volto a sostenere temporaneamente la banca attraverso la sua nazionalizzazione: questo è il termine esatto, e non capisco perché invece nessuno lo utilizzi. Forse perché sa di stantio? Di comunismo? Può darsi, ma cambiare le parole non cambia la realtà (così come togliere la e davanti a emigrante non rende più poetico e meno doloroso il suo viaggio).

Tornando al Monte: lo Stato diventa azionista, cioè proprietario, al 70% ed entro 4 anni deve vendere. Durante questo periodo la banca proverà a realizzare un piano di rilancio. Se questo succederà, lo Stato porterà a casa un guadagno. Andrà davvero così? Non lo so, ma in America ci sono riusciti.

(Tratto da www.altropensiero.it)


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