Per la prima volta nella sua storia l’Unione Europea prende atto che la sicurezza dei propri cittadini, la difesa dei propri ideali e la protezione dei confini non è più scontata. Un numero crescente di problemi di sicurezza e di conflitti va emergendo nelle aree limitrofe: Europa dell’Est, Medio Oriente e Nord Africa. Gli effetti di questi conflitti incidono sempre più sulla vita dei cittadini europei, con l’arrivo di nuovi flussi migratori e attraverso attacchi terroristici nelle città. L’incapacità dell’Europa fino ad oggi di esprimere una politica della sicurezza comune e di gestire adeguatamente questi fenomeni ha alimentato la sfiducia nei confronti delle istituzioni europee e stimolato lo sviluppo di movimenti populisti e nazionalisti.
Nel frattempo a livello globale la frammentazione e lo spostamento del baricentro del potere verso Est, con il nuovo ruolo emergente della Cina, hanno cambiato le priorità geopolitiche degli Stati Uniti. L’ombrello di protezione americano che noi europei abbiamo utilizzato dal dopoguerra ad oggi in un prossimo futuro non potrebbe essere più a disposizione. Gli ultimi eventi politici spingono ulteriormente l’Europa a fare delle scelte che non possono essere più posticipate. La Brexit indebolisce l’Ue ma anche l’azione ostativa che il Regno Unito ha sempre esercitato contro una difesa comune. Senza Londra si è rimosso un alibi dietro cui Paesi si nascondevano. L’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti, desideroso di ridurre il sostegno all’Alleanza atlantica, porta l’Unione europea a interrogarsi se sia arrivato il momento di perseguire una maggiore autonomia strategica in tema di difesa.
La strada verso una difesa comune europea può diventare un’opportunità significativa per rilanciare l’idea di un’Europa coesa per fronteggiare le sfide globali.
L’Europa non appartiene agli economisti né tantomeno ai militari; l’Europa appartiene agli europei. L’integrazione economica avviata con l’euro non può rimanere isolata; deve procedere lungo altre direttrici per completare un quadro che diversamente resterebbe incomprensibile e senza valore.
L’Europa necessita di uno scatto d’orgoglio se non vuole vanificare gli sforzi di chi, con fatica nel secolo scorso, si è impegnato a costruire un luogo democratico, in grado di garantire prosperità e pace alle generazioni future.
La difesa potrebbe divenire co-protagonista, forse artefice principale, di questo cambiamento. Fornendo risposte concrete alle costanti richieste di sicurezza, si potrebbe innescare un meccanismo che porti definitivamente l’integrazione Europea oltre la linea di non ritorno.
Tuttavia, se l’integrazione Europea è un progetto per il futuro degli europei, questi ultimi devono essere partecipi e per poterlo fare devono essere informati. Purtroppo la comunicazione è ancora prevalentemente un prodotto nazionale. Quasi in tutti i Paesi europei la difesa non è un tema che appassiona e che crea consenso e pertanto i media non se ne occupano se non in quei rari casi di cronaca o di mal costume. La crisi economica del 2008 ha avuto ripercussioni non solo sull’economia e sulla finanza.
Il disagio, la perdita di riferimenti, l’incapacità di trovare soluzioni efficaci, l’inadeguatezza della classe politica, hanno generato uno spirito critico nell’opinione pubblica, che giustamente pretende trasparenza, efficienza ed efficacia in tutti i settori della Pubblica amministrazione, ritenuti colpevoli di sprechi ingiustificati e arretratezza strutturale, senza eccezioni per la difesa.
In sintesi, da anni i contribuenti non trovano giustificate le spese attribuite alla difesa in rapporto al valore sociale percepito, rendendo ancor più difficile giustificare interventi correttivi. Si è creato un gap che non necessariamente si risolverà con un incremento di efficienza; per colmarlo è necessario intervenire anche con una comunicazione efficace, che sappia informare e generare consapevolezza, che sappia parlare ai giovani tramite i nuovi media e fornire gli strumenti giusti per comprendere l’importanza e la portata di questa trasformazione.
L’integrazione non è un gioco a somma zero dove i guadagni degli uni sono le perdite degli altri. La Germania negli anni 90 ha dimostrato che non è così. L’integrazione, anche in quel caso, è stato il motore della crescita. Gli enormi costi sostenuti dalla Germania occidentale, per la riunificazione dopo la caduta del muro, sono un ricordo lontano ma sono anche un’importante lezione per quelli che erroneamente credevano che le due economie fossero incompatibili e che la Repubblica democratica tedesca avrebbe seriamente danneggiato la più ricca Repubblica federale. Un argomento di grande attualità per il popolo europeo. Tuttavia, bisogna riconoscere che la riunificazione della Germania fu prevalentemente un gesto di solidarietà sociale, un sentimento che purtroppo oggi sembra mancare nei confronti di una parte dell’Europa, quella oggi più in difficoltà. Anche in questo senso una difesa comune, volta a internalizzare appropriatamente i costi delle pressioni migratorie ai suoi confini, darebbe un segnale, oltre che di efficienza ed efficacia, di solidarietà, uno dei due motori, secondo uno dei padri fondatori, Jean Monnet, assieme alla diversità, dell’Europa del domani.