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La parabola della “soppressata” sconvolge la sinistra americana

Di Cristoforo Lascio

Agli intellettuali e ai giornalisti di sinistra che negli Stati Uniti sono impegnati nella caccia al facocero Donald Trump, il columnist conservatore David Brooks aveva già dato un dispiacere lo scorso 20 giugno. Sul New York Times si era permesso infatti di porre un quesito piuttosto radicale: dopo mesi di caccia alle streghe nell’ambito del Russiagate che coinvolgerebbe l’Amministrazione Trump ­ – aveva chiesto ai colleghi del Quarto potere – perché non possiamo finalmente ammettere di non avere ancora nessuna prova tra le mani? Per carità, chi di dovere continui a indagare – scriveva Brooks – però nel frattempo evitiamo di sostituire “la politica della democrazia con la politica dello scandalo”. Un avvertimento che in Italia, almeno a qualcuno, dovrebbe suonare familiare.

Non contento di ciò, Brooks lo scorso 11 luglio è tornato a colpire. In un altro editoriale sul New York Times, ha raccontato il seguente episodio: “Di recente ho invitato a pranzo un’amica che ha solo un diploma di scuola superiore e nessuna laurea. Peccando di insensibilità, l’ho portata in un negozio di panini gourmet. All’improvviso l’ho vista tirata in volto, mentre scrutava dei panini ribattezzati ‘Padrino’ e ‘Pomodoro’, o ingredienti come la soppressata, il capocollo o la baguette striata (tutti termini in italiano nel testo originale, ndt). Allora le ho chiesto se preferisse andare da qualche altra parte, lei ha annuito e siamo andati a mangiare del cibo messicano”.

L’aneddoto è stato oggetto degli sghignazzi di molti colleghi intellò di Brooks e di altrettanti twittaroli incalliti. Ironie sulle frequentazioni dell’editorialista con persone “solo diplomate”, risatine sulla “soppressata” che secondo Brooks e la sua amica sarebbe un ingrediente raffinato, e così via. Eppure il columnist ha spiegato chiaramente cosa intendesse esemplificare: “La cultura americana della classe medio-alta (cioè di quella classe sociale che ha più opportunità di fronte a sé) è caratterizzata da segni culturali che sono completamente incomprensibili a meno che non si sia cresciuti in quella stessa classe. Questi segni giocano sulla naturale paura umana dell’umiliazione e dell’esclusione. Il loro messaggio principale è il seguente: ‘Tu qui non sei benvenuto’”. Ecco il cuore dell’attacco di Brooks alle élite americane: “Nell’ultima generazione, gli appartenenti alla classe di coloro che hanno un’educazione universitaria sono diventati davvero abili nell’assicurarsi che i loro figli ereditino il loro status privilegiato. Inoltre le stesse persone della upper-class sono diventate terribilmente brave ad assicurarsi che i figli delle altre classi sociali abbiano poche possibilità di entrare nei loro ranghi”. E se dare anima e corpo per l’educazione dei propri figli è uno sforzo quasi naturale, osserva il columnist americano, ben meno giustificabile dal punto di vista morale è lo sforzo di creare barriere all’ingresso nella classe dei privilegiati.

Barriere innalzate grazie alle restrizioni geografiche imposte ai più poveri, alla segregazione territoriale che inizia fin dalle scuole primarie, ai sistemi di selezione universitaria che più del merito premiano l’appartenenza a un certo milieu culturale e la possibilità di avere percorsi comuni alle spalle come “viaggi ed esperienze arricchenti o stage non pagati come unica via per ottenere certi lavori”. “Non è un caso che il 70% degli studenti che frequentano le 200 università più competitive degli Stati Uniti appartenga al 25% più ricco della popolazione”. A questo tentativo consapevole e sistematico di arroccamento da parte delle élite non contribuiscono soltanto “i consumi materiali e l’esposizione della propria ricchezza” – scrive Brooks rifacendosi al libro “The Sum of Small Things” di Elizabeth Currid-Halkett – ma anche “il fatto di stabilire pratiche cui possono accedere soltanto coloro che posseggono una informazione di tipo rarefatto”. “Le regole di status sono almeno in parte una questione di collusione, comportano l’attrazione di persone con un certo livello di educazione nel tuo circolo, la costruzione di un legame sempre più stretto con loro e allo stesso tempo di barriere contro tutti coloro che rimangono fuori da questo circolo. Noi della classe istruita abbiamo creato delle barriere che impediscono la mobilità e che sono ancora più devastanti perché invisibili. Il resto dell’America nemmeno le riesce a nominare o a capire, ma percepisce che queste barriere esistono”. E il fatto che tanti commentatori si limitino a irridere la parabola della “soppressata”, come osserva l’intellettuale Rod Dreher, non fa altro che rivelare una volta di più la scarsa sensibilità di certe élite americane rispetto a un fenomeno che invece esiste e si aggrava.



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