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Quali politiche europee per rifugiati e migranti economici?

Le affermazioni molto recenti, soprattutto da parte di Emmanuel Macron hanno posto in evidenza la questione della distinzione tra rifugiati (ai quali applicare il vecchio istituto del diritto di asilo) e migranti economici ai quali non sarebbe possibile applicare alcuna garanzia definibile di accoglienza.

Ma non si tratta di una questione prevalentemente francese perché anche in Italia non siamo sino ad ora riusciti a costruire un vero e proprio equilibrio stabile tra rifugiati e migranti economici.

La questione posta negli ultimi tempi soprattutto dall’Italia, anche in conseguenza dell’arrivo massiccio di migranti provenienti prevalentemente da qualche parte del territorio libico (una volta scomparso anche un simulacro formale di statualità libica dopo la guerra del 2011), concerne dunque un aspetto essenziale della stessa integrazione europea, tale da invocare una sorta di Maastricht per le migrazioni.

Assistiamo pertanto, con evidenza crescente, alla rilevanza non solo europea della distinzione tra rifugiati e migranti economici. Si tratta in particolare di una distinzione che ha a lungo caratterizzato l’adozione di linee politiche complessive tra i favorevoli a una distinzione non solo giuridica – come nel caso dei diritti dei rifugiati ma non anche dei migranti economici – ma anche politica in senso stretto sino al punto di giungere alla linea del respingimento dei migranti economici, come dimostra la storia anche recente della politica italiana in materia.

La contrapposizione si è pertanto venuta definendo proprio in riferimento alla distinzione radicale tra rifugiati – per i quali il fondamento è sempre quello della fuga da contesti bellici – e migranti economici per i quali mancano in parte o anche del tutto i presupposti bellici tradizionali.

Il contesto politico italiano, pertanto, non consente – almeno sino ad oggi – nessun equilibrio tra l’una e l’altra dimensione dello straordinario scenario migratorio soprattutto – ma non esclusivamente – marittimo.

L’Italia , infatti, – come è stato ripetutamente rilevato – è passata nel corso degli ultimi decenni da una lunghissima stagione di emigrazione – originariamente non qualificata – a una crescente stagione di immigrazione quasi esclusivamente non qualificata almeno in Italia.

Ne è conseguita una molto complessa vicenda culturale e politica che ha visto intrecciati aspetti religiosi, come la tendenza universale di matrice cattolica; territoriali, come l’identità nordista della Lega Nord anche formalmente separatista; economico-sociali, dal “caporalato” alla disoccupazione crescente – che hanno finito con l’intrecciare la questione dei rifugiati con gli aspetti della migrazione economico-sociale-religiosa e che ha finito con l’assumere le caratteristiche quasi indefinibili della nostra politica dell’immigrazione. A sua volta è venuta scontrandosi con posizioni più nazionalistiche che europee come dimostrano i vai passaggi ai quali abbiamo assistito negli ultimi anni.

La mancanza della ricerca dell’equilibrio tra diritto di asilo da un lato e migrazione economica dall’altro, dunque, ha finito con il far prevalere la dimensione dell’emergenza rispetto alla definizione di una politica migratoria (definibile della normalità) solo che non siamo in presenza di un fenomeno occasionale e per così dire transeunte, ma appunto di un fenomeno che caratterizza gran parte dei rapporti tra l’Italia, l’Africa e altri significativi Paesi stranieri.

E questa cultura dell’emergenza si sta sempre più saldando con la caratteristica essenziale dei modelli democratici occidentali: le scadenze elettorali. Il mancato equilibrio tra la dimensione del rifugiato e la problematica  propria della migrazione economica, pertanto, finisce con l’avere un impatto particolare e molto rilevante proprio nel contesto europeo, caratterizzato questo come è dalla assoluta prevalenza della dimensione nazional-statuale rispetto alla tuttora embrionale dimensione europea vera e propria. Se infatti la dimensione dell’emergenza finisce con il porre le basi di un qualche intervento multilaterale europeo (come il caso di Triton dimostra).

Non sorprende pertanto il comportamento di Macron perché molto probabilmente si tratta delle difficoltà interne di quel Paese alla ricerca proprio di quell’equilibrio tra rifugiati e migranti economici. Il contesto storico, sociale e politico ha finito con il ritenere di comune accettazione la tutela per i rifugiati, lasciando la questione dei migranti economici sia al contesto nel quale si è svolta la storia francese, sia al contesto politico interno che proprio su questo punto ha finito con il concorrere a determinare lo stesso sbocco europeo della politica dello Stato francese.

E problemi analoghi sono rilevabili in riferimento a tutti gli altri Stati che compongono l’Unione europea, come dimostrano in particolare i casi molto recenti della Polonia e dell’Ungheria. Sembra pertanto necessario raggiungere una comune intesa concernente i cosiddetti “ricollocamenti” dei rifugiati, lasciando del tutto da parte la questione dei migranti economici. Questo infatti (anche in Italia) è strettamente collegata sia al concetto stesso di identità territoriale e sociale, come dimostrano le durissime questioni politiche che anche questi giorni stanno caratterizzando il dibattito politico, reso ancor più acuto per l’imminenza delle elezioni politiche e la rilevanza che esso stesso ha avuto nelle ultime elezioni amministrative.

Da un lato l’intreccio tra le modalità necessarie per l’acquisizione della cittadinanza (la scelta tra ius sanguinis e ius soli), e dall’altro l’insieme degli istituti, tutti rilevantissimi, delle politiche sociali che concorrono a caratterizzare la natura stessa dello Stato (come anche il recente caso della Brexit dimostra) stanno a dimostrare che la questione del rapporto tra rifugiati e migranti economici costituisce ormai la questione non solo sociale di fondo della stessa integrazione europea.

Anche in questo caso occorre trovare l’equilibrio tra Stato nazionale e integrazione europea nella consapevolezza che si tratta di una straordinaria questione politica: il processo di integrazione europea si trova infatti di fronte alla questione antica e pur nuovissima dell’equilibrio tra economia e giustizia sociale.

Essere europeisti oggi significa dunque non oscillare tra tentazioni utopiche e avaro realismo nazionalistico.


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