Forse 141 miliardi di maggiore spesa da qui al 2015 e 200mila pensioni in più ogni anno sono una stima per eccesso, anche perché i “due presidenti” (Cesare Damiano e Maurizio Sacconi) sostengono che loro non hanno alcuna intenzione di bloccare (come afferma Tito Boeri nella sua intervista al Sole-24ore di domenica scorsa) il meccanismo di aggancio automatico dell’età pensionabile all’attesa di vita (sarebbe singolare visto che è stato Sacconi ad introdurlo) ma soltanto di rimodularlo, allo scopo di rallentare la corsa dell’età pensionabile in parallelo con i trend demografici. Intanto, però, Damiano e Sacconi chiedono che non sia varato il decreto ministeriale che – sulla base delle indicazioni dell’Istat – dovrebbe adeguate l’età alle nuove attese di vita a partire dal 2019. Peraltro, oggi, si svolge anche un confronto su questi temi all’interno del Pd. Personalmente credo che gli argomenti del presidente dell’Inps siano corretti e sensati. Soprattutto quando mettono in evidenza alcune possibili conseguenze che riassumiamo di seguito.
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In primo luogo Boeri esprime la preoccupazione che si apra addirittura una destrutturazione di carattere retroattivo: “Pensiamo – afferma il presidente – alle generazioni che hanno vissuto questi adeguamenti (…) oppure a chi ha preso l’opzione donna nell’aspettativa che ci sarebbe stato l’aumento dei requisiti del 2019 e ha subìto una penalizzazione”. È plausibile, secondo Boeri, che a fronte di una situazione che cambia, questi soggetti si organizzerebbero per ottenere un risarcimento. E troverebbero “un mercato politico pronto ad accogliere le loro proteste, un mercato su cui si muovono da anni (“venenum in cauda”, ndr) gli stessi protagonisti che oggi chiedono il blocco degli adeguamenti automatici”.
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Un’altra considerazione riguarda lo spauracchio dei 67 anni, come se tutti gli italiani fossero costretti ad andare in quiescenza non prima di quell’età. Per sostenere una tesi siffatta bisognerebbe almeno trovare un italiano o un italiana che, negli ultimi tempi, sia andato veramente in pensione a 67 anni o quasi. Ovviamente, il nostro è un paradosso, ma ha un fondamento di verità se si guarda non all’età legale ma a quella media effettiva alla decorrenza della pensione, che, secondo Boeri – il quale cita un dato del 2014 ma non è molto differente da altri più recenti – è pari a 62 anni. È quindi una menzogna sostenere che i nostri sono i requisiti più severi d’Europa, perché se si guarda all’età in cui le persone vanno davvero in pensione, siamo al di sotto degli standard medi europei e ai 64 anni della Germania.
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Vi sarebbero, poi, seri effetti politici determinati dallo “smantellamento di una riforma (…) che abbiamo “venduto” in tutto il mondo come sostenibile perché basata su adeguamenti automatici alla longevità”: automatismi che, tra le altre cose, sottraggono la materia alla discrezionalità della politica.
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Infine, lo notiamo con piacere, Tito Boeri non ritorna più su di uno dei suoi argomenti (sia pure usati con cautela): il fatto che la permanenza più a lungo al lavoro degli anziani faccia da tappo all’assunzione di giovani. “Lo stop a nuove assunzioni – precisa Boeri con riferimento alla situazione in cui nel 2011 venne varata la riforma – era inevitabile (…) ora la domanda di lavoro sta crescendo più dell’intera economia. Dunque non si può fare un paragone tre i due momenti – conclude – siamo lontani anni luce”.