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Cosa succede nella scuola Giovanni Falcone di Palermo

“Noi abbiamo la certezza che a compiere gli atti contro il nostro istituto non siano stati i nostri ragazzi. Non è possibile nemmeno a rigor di logica: una colonna alta e di un certo peso utilizzata per sfondare il portone. Nemmeno i ragazzi delle medie (l’istituto ospita alunni dell’infanzia, elementari e medie) avrebbero potuto tanto. È stata un’azione specifica di altri”.

È questo l’unico punto fermo sugli atti vandalici contro l’Istituto comprensivo statale Giovanni Falcone allo Zen di Palermo, secondo le parole del dirigente scolastico, dottoressa Daniela Lo Verde e del vicario Giuseppe Virone. Più giusto specificare che uno dei tre atti vandalici avvenuti fra domenica 10 e mercoledì 12 luglio, quello ai cartelloni di via De Gasperi, sembra sia stato frutto di un’azione di un uomo mentalmente instabile, come riportano media e inquirenti. Per gli altri due episodi invece (la testa mozzata della statua di Giovanni Falcone e l’uccello decapitato trovato di fronte all’ingresso dell’istituto) le indagini sono ancora in corso. In ogni caso, entrambi i gesti ricorrono alla decapitazione di teste. Forse un messaggio specifico che chi indaga sta decifrando, mentre chi è ai vertici della scuola collabora a indicare eventuali episodi o segnali magari per loro apparentemente insignificanti. “La polizia”, sostiene Virone, “ci è davvero molto di supporto”.

Per capire quel quartiere esiste un libro, quello di Ferdinando Fava, ricercatore alla Scuola francese di alti studi di scienze sociali, che dopo due anni di vita lì vissuta ne tirò fuori una disanima: “Lo Zen di Palermo. Antropologia dell’esclusione” (ed. Francoangeli). Lo Zen, o meglio Zen 2, è uno dei tanti quartieri periferici simili a quelli di altre grandi città o capoluoghi pur con le sue specificità (ne parlano anche gli articoli di Roberto Alajmo) messo ai margini della vita sociale ed economica. Basta percorrere, nel caso di Roma, le strade del Settimo Tiburtino per rendersene conto. Anche quest’ultimo, frutto di progetti per lo sviluppo dell’edilizia popolare tra gli anni 50 e 60, nato con lo scopo di riqualificare le borgate e di fornire occupazione, ma che al contrario ha creato delinquenza ed emarginazione.

Ora tra i filari di complessi edilizi, la tiburtina che costeggia l’area è invasa da costruzioni dai tempi infiniti e alcune sale gioco di dubbia proprietà. Mentre l’ufficio collocamento (simbolo di mancata occupazione appunto) è l’ultimo degli edifici sperduti posto su una collinetta a San Basilio, nord-est della Capitale. Allora cosa distingue un quartiere difficile da un altro a parte la posizione a nord o a sud dello Stivale? I simboli sicuramente. E quello di Giovanni Falcone in special modo possiede carica e significati doppi. Gaetano Savatteri nel 2009 sul Corriere della sera definiva lo Zen “il quartiere dei senza qualcosa”: “Senza casa, senza tetto, senza legge, senza diritti”, ma nell’area a nord di Palermo (Zona esposizione nord è il significato dell’acronimo) una cosa bella c’è. È la scuola statale Giovanni Falcone, dove da un paio di anni a questa parte le iniziative antimafia, soprattutto quelle legate alle commemorazioni delle stragi (in primis quella di Capaci a maggio in cui la scuola è ancora aperta) ci spiega il professor Virone, sono iniziative slegate da quelle messe in vetrina spesso nel centro città.

“Intanto perché la zona è parecchio distante dal centro e poi perché abbiamo voluto dare una connotazione precisa a queste manifestazioni nel quartiere stesso che ha una identità forte”. Aggiungono poi Virone e la preside Lo Verde: “In questo modo vengono coinvolte anche le famiglie e si fa una operazione inclusiva”. Nei progetti spesso partecipano anche le associazioni in modo da segnare, seppur con difficoltà, quest’altra identità: “Quella che mira a costruire quanto altri distruggono”, precisa ancora Virone. Certo la telecamera che era stata donata alla scuola poteva essere utile per individuare movimenti sospetti, veicoli o persone eventualmente colpevoli dell’atto, ma  – risponde in merito il professore – “L’impianto si è poco alla volta deteriorato; non abbiamo avuto la disponibilità economica per ripararlo”. Dove non ci sono fondi viene meno la sicurezza.

L’ultimo atto volto a sfregiare il “simbolo Falcone” nella scuola si registra nel lontano 2012: “Rotto il naso e scarabocchiata tutta la superficie. Cinque anni fa i vandali, dopo aver danneggiato la statua, erano entrati da una finestra, grazie anche all’assenza del sistema di allarme, scarico da alcuni mesi, e avevano scaraventato a terra armadi, cattedre, banchi e sedie” scrive Repubblica  di Palermo. Ecco che stavolta l’atto vandalico di cinque anni prima si trasforma in vero e proprio raid mirato. In merito Virone, alla nostra domanda, spiega che “minacce dirette o azioni di dissenso specifiche interlocutorie non sono mai arrivate e anche con le famiglie dei ragazzi al massimo si riceve indifferenza, non espressioni violente di dissenso”. Quindi nessun segnale concreto che potesse anticipare un’azione del genere.

Le attività che l’istituto svolge durante l’anno sono diverse, una di queste dal nome “L’Esperienza insegna”, coinvolge i ragazzi – a seconda delle età – in piccoli progetti scientifici tratti dal vissuto con riflesso sugli insegnamenti di vita sociale e legale. Anche i concorsi letterari vengono utilizzati come strumenti per poter avvicinare gli alunni ad altre realtà. O, ancora, il progetto sulla vita di Don Pino Puglisi. Il parroco ammazzato dalla mafia nel settembre del ’93, la cui attenzione era rivolta al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere di Brancaccio – terra degli stragisti Graviano –  una cultura della legalità.

Di fondo categorie quali il rispetto per gli altri, l’invito alla tolleranza e alla comprensione, lo stimolo ad avere progetti e sogni fanno da filo conduttore di tutte le iniziative che, se comuni a tanti progetti scolastici in tutta Italia, qui acquisiscono un altro valore. Per la imminente visita allo Zen 2 del ministro dell’istruzione, dell’Università e della ricerca Valeria Fedeli – annunciata dalla stessa giorni fa in concomitanza con la commemorazione della strage di Via D’Amelio il 19 luglio, con tanto di promesse per nuovi fondi scolastici – 40 docenti fra quelli già in vacanza o precari hanno deciso di tornare in sede ed essere di supporto ai docenti rimasti e alla scuola tutta.

I ragazzi, soprattutto quelli delle medie, anche condizionati dal clamore mediatico, hanno inviato domande ai loro docenti e la risposta è stata un testo unico diffuso poi sui social network che vale la pena riportare in alcune sue parti:

Ciao Gabriele, siamo i tuoi prof a scriverti.

Ieri pomeriggio, quando hai saputo cosa era successo, ci hai mandato questo whatsapp: 

“Devono rompere sempre le cose della nostra scuola!”.

Non sai quanti tuoi compagni si sono dispiaciuti e arrabbiati. […]
Hai ragione… ci sono alcune persone che “devono rompere”: è molto facile rompere, per un po’ anche divertente… addirittura per qualcuno è l’unico modo per mostrare che esiste! Però chi ha bisogno di rompere diventa un grave problema per gli altri. […] Chi rompe è vile!

[…] La scuola è il luogo in cui, assieme alla tua famiglia e ai tuoi prof, si costruisce: si costruisce il tuo pensiero, che ti renderà una persona responsabile, libera e nobile; […] Perché quelli che rompono lo bistrattano, lo ripugnano e lo disprezzano…
Ma sarà il tuo lavoro, onesto e appassionato, che ti renderà autonomo, capace di crescere una famiglia e, non trascurarlo, di contribuire al bene comune. […] Che gran bisogno ha la società di avere persone con queste qualità!

Il giudice Giovanni era una di queste persone, ha costruito edifici che risplendono di giustizia e di legalità. La vita sua, di Paolo, di Padre Pino e di tutti questi eroi ci commuovono e ci appassionano, e continueremo a raccontarle e a conoscerle per imparare ad essere persone migliori. […] 

 Mentre una serie di eccellenti scarcerazioni avvenute per vari motivi fra il 2016 e i primi mesi del 2017 rimette in circolo nella Palermo del venticinquennale padrini boss e soldati, il clima che ha circondato la scuola non aiuta a capire cosa bolle in pentola. Certamente preoccupa, ma non spezza l’istituto Giovanni Falcone.



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