Il presidente americano Donald Trump questa mattina, da Amburgo, dove sta partecipando al G20 e ha in programma vari appuntamenti tra cui l’incontro personale con Vladimir Putin, ha scritto un tweet strano e con varie cose non vere.
Everyone here is talking about why John Podesta refused to give the DNC server to the FBI and the CIA. Disgraceful!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 7 luglio 2017
Rapida carrellata: John Podesta non poteva dare i dati dei server del Dnc perché lui non lavorava per il Dnc, e poi non era la Cia ma solo l’Fbi a dover studiare quei dati.
Ma di cosa si sta parlando? L’argomento è l’hacking russo durante le presidenziali dello scorso novembre: ieri da Varsavia Trump ha detto di credere che sia stata Mosca compiere l’operazione, ma potrebbero essere stati anche altri. Oggi, poche ore prima di vedere Putin, cambia tiro e attacca i democratici (quasi sminuendo l’accaduto, e sembra voler allentare la tensione creata col presidente russo dopo quelle e altre cose dure dette dalla Polonia). Ma andiamo con ordine, per spiegare che in quelle 115 battute di Trump ci sono almeno tre bugie, premesso che è difficile pure credere che tutti al G20 di Amburgo stiano veramente parlando dell’hacking a Podesta (Roll Call, giornale che copre Capitol Hill ha chiesto spiegazioni alla portavoce Sarah Sanders per sapere a chi si riferisse Trump, ma lei non ha risposto alla mail).
Podesta era il capo del comitato elettorale di Hillary Clinton, finito sotto uno degli attacchi hacker da parte dei gruppi russi che hanno interferito nelle elezioni presidenziali americane. Si ricorderà che quando la sua casella email fu violata, WikiLeaks pubblicò i messaggi privati del consulente politico, e da questi nacquero molte delle storie più stupide, assurde e cospirazioniste sui democratici (i tre aggettivi purtroppo in questo periodo storico sono sinonimo di ampia diffusione, e infatti furono molte le persone che non solo le considerarono vere, ma le presero anche come uno degli elementi a cui agganciare la propria scelta elettorale). Una di queste storia per esempio, nota come Pizzagate, diceva che i leader del partito di Clinton, Podesta compreso, si incontravano in una pizzeria vicino ai palazzi di Washington e lì praticavano riti satanici, orgiastici e pedofili. Niente di vero, ma la cosa è arrivata alla cronache meno strampalate perché a luglio dello scorso anno, quando la vicenda impazzava tra siti e forum ultra-trumpiani e veniva spinta sui social network da bot anche russi, un pazzo decise di entrare armato nel locale, e si mise a sparare chiedendo di verificare di persona cosa succedeva.
Ancora. Il Dnc è il Comitato democratico nazionale, ossia il partito. Podesta non lavorava per il Dnc, ma per Clinton, persona, candidata. Anche i server del Dnc sono stati attaccati dagli hacker russi (ma è un episodio separato da quello di Podesta). Gli hacker rubarono un’altra montagna di mail confidenziali, niente di speciale, comunicazioni interne. Ma anche queste, messe alla mercé di chiunque da WikiLeaks, si portarono dietro la serie di fandonie create ad arte. L’hacking è costato anche le dimissioni di Debbie Wessermam, che era la presidente del Dnc. S’è dimessa perché in alcune mail scambiate con altri funzionari appariva schierata con Clinton durante le primarie, e questa assenza di terzietà (anche se uscita da conversazioni private rese pubbliche da un furto) le è costata posto e credibilità.
Da ultimo: è vero che inizialmente il Dnc non aveva fornito accesso ai propri sistemi all’Fbi (i democratici dicono perché non gli era stato richiesto esplicitamente), ma parliamo di mesi fa, poi è iniziata la collaborazione. Il Bureau ha usato tutti i dati sull’attacco esaminati e forniti dalla CrowdStrike, società di sicurezza informatica ingaggiata dai dem, che ha scoperto e debellato l’attacco hacker russo. Il Dnc sta collaborando anche con il dipartimento per la Homeland Security