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Ecco tutte le ultime scintille fra Guardia Costiera libica e ong

“Dovete seguire i nostri ordini. Se non seguite i nostri ordini faremo centro, siete già stati avvertiti”. Sono queste le minacce della guardia costiera libica alla nave dell’ong spagnola Proactiva Open Arms. Nel pomeriggio del 15 agosto la sua nave Golfo Azzurro, stando ai racconti dei volontari, è stata trattenuta per due ore con la forza da militari libici armati. A riprendere le parole dei libici è un video pubblicato su twitter il 16 agosto da una volontaria, Lola Galovart.

L’episodio costituisce l’apice di un escalation di tensione fra le organizzazioni non governative nel Mediterraneo e le autorità libiche di Tripoli. C’è soltanto una ong che va controcorrente rispetto alle proteste generali: la maltese MOAS fondata dai coniugi Christopher e Regina Catrambone. Così come per prima è finita nel mirino della procura di Catania, è stata la prima, assieme a Stc e Proactiva, a firmare il codice di condotta di Minniti (adesso delle grandi mancano all’appello solo Msf e Sea-Watch). Il 17 agosto, riporta Internazionale, il MRCC di Roma ha ordinato a MOAS di coordinarsi con la guardia costiera di Tripoli per salvare 233 persone in pericolo: è la prima volta che le autorità libiche collaborano con le ong dal 2013.

Da quando l’11 agosto il governo di Fayez al-Sarraj ha comunicato all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) di voler ristabilire una propria zona SAR (i cui confini ancora non sono chiari), Medici Senza Frontiere, Save The Children e Sea-Eye hanno deciso di sospendere le attività SAR perché troppo pericolose. Una decisione, garantisce MSF, risultata inevitabile dopo che lo stesso centro di coordinamento delle attività di soccorso di Roma (MRCC) ha avvertito l’ong di “un rischio sicurezza legato alle minacce pronunciate dalla Guardia Costiera Libica”.

“Gli Stati europei e le autorità libiche stanno attuando congiuntamente un blocco alla possibilità delle persone di cercare sicurezza” ha commentato il presidente di Msf Loris De Filippi, “È un attacco inaccettabile alla vita e alla dignità delle persone”. Con un comunicato l’ong tedesca Sea-Eye ha annunciato la sospensione delle attività di soccorso, in seguito a “una mutata situazione di sicurezza nel Mediterraneo occidentale dopo l’annuncio del governo libico di un’espansione indefinita e unilaterale delle sue acque territoriali, combinate con un’esplicita minaccia alle ONG private”. Anche il direttore delle operazioni di Stc Rob MacGillivray sventola bandiera bianca e riconosce: “la pausa necessaria nelle operazioni delle navi di soccorso come la nostra e altre metterà senza dubbio vite in pericolo”.

Nel frattempo il comandante della base navale di Tripoli Abdelhakim Bouhaliya ha intimato alle ong di non superare la linea delle 12 miglia nautiche che delimita il mare territoriale libico. Secondo l’ufficiale della Guardia Costiera libica Ayoub Qassem il governo di Tripoli in generale “non respinge la presenza delle ong, ma vogliamo da loro una maggiore cooperazione con lo Stato della Libia. Dovrebbero mostrare più rispetto nei confronti della sovranità libica”.

Le accuse delle due parti sono ormai conosciute. I volontari delle ong contestano i metodi della guardia costiera libica, addestrata dalla missione europea di Eunavformed, e chiedono di poter intervenire in caso di emergenza anche oltre le 12 miglia. I libici vedono nell’avvicinamento delle ong la causa dell’aumento delle partenze. Il rapporto del primo trimestre 2017 di Frontex sembra dar loro ragione. “C’è una correlazione tra le attività SAR condotte da navi che solcano le acque internazionali sempre più vicino alla costa libica e il crescente numero di migranti irregolari che partono dalla Libia”. Una spiegazione possibile, si legge ancora nel rapporto, si può trovare “nel modo in cui i networks di trafficanti in Libia si sono velocemente adattati alla presenza di obiettivi marittimi vicino alle coste”.

Intanto il ministero dell’Interno ha pubblicato il 17 agosto l’ultimo cruscotto statistico con i dati sugli sbarchi. Da gennaio ad oggi, rispetto al 2016, c’è stato un calo del 4,03%, con 97458 arrivi. Nigeria, Bangladesh, Guinea e Costa D’Avorio i paesi in cima alla lista delle partenze, mentre Augusta, Catania, Pozzallo e Reggio Calabria sono i porti italiani più vessati dalle operazioni di soccorso.

In queste settimane l’Unione Europea e le Nazioni Unite stanno lavorando per risolvere alla radice il problema delle partenze. Lo scorso 28 luglio il Fondo Fiduciario Europeo ha stanziato 46 milioni di euro “per rinforzare la gestione della migrazione e del confine delle autorità libiche”. Il 15 agosto invece l’agenzia ONU per la migrazione (OIM) ha organizzato a Tripoli una tavola rotonda con le autorità libiche volta a “promuovere l’assistenza medica e gli interventi nella sanità nei centri di detenzione, nei principali punti di sbarco dei migranti in Europa”.

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