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Dalla parte di Laura Boldrini e non solo

Laura Boldrini

La presidente della Camera Laura Boldrini ha denunciato chi l’ha offesa sul web e così promuove una più che giusta azione legale e, si spera, una legge che punisce tutti coloro che subiscono questa violenza. Peraltro la Commissione Europea lo aveva auspicato alla fine dello scorso anno: bisogna fare di più contro gli incitamenti all’odio. I destinatari dell’invito erano i Big dei social network e dell’industria hi-tech, Facebook, Google, Microsoft e Twitter. Oggi la Germania traduce il semplice invito in legge approvata e destinata ad entrare in vigore a partire da ottobre.

L’hanno soprannominata “legge Facebook”, ma i destinatari sono tutte le compagnie che gestiscono un social network. Punto centrale della normativa è l’obbligo di tempestiva rimozione dei messaggi che incitano all’odio, onde evitare l’applicazione di una sanzione pecuniaria a carico dei gestori che può arrivare ad un massimo di 50 milioni di euro. In base alla normativa, le compagnie avranno l’obbligo di rimuovere entro 24 ore i contenuti “evidentemente illegali”. In tale definizione rientrano discorsi di odio, diffamazione e incitamento alla violenza. La sanzione pecuniaria minima sarà di 5 milioni di euro, ma potrà arrivare al massimo citato. In presenza di contenuti che non palesano in maniera evidente la loro illegalità, i gestori del social network potranno valutare il caso entro un termine massimo di una settimana. Dunque la Germania ancora una volta, indica la strada non a parole ma a fatti, senza aver nessun timore di ledere – come alcuni social network hanno protestato- il diritto di espressione.

Certo è che è necessaria, come peraltro ha ben interpretato Boldrini, la pressione politica sugli operatori che gestiscono le grandi piattaforme che devono essere puniti penalmente se non adempiranno ai loro obblighi. Il Parlamento tedesco ha approvato la misura secondo la quale se 24 ore dopo aver ricevuto una segnalazione, il social non rimuove il post offensivo, appunto rischia una sanzione milionaria; inoltre, il testo prevede che dopo la cancellazione degli insulti nei sette giorni successivi il social deve provvedere a bloccare altri contenuti offensivi. La normativa, tocca una delle attività più delicate di social media come Facebook, Twitter, LinkedIn e Instagram, che incoraggiano da una parte la comunicazione e la libertà di espressione – anche e soprattutto per ragioni economiche - e dall’altra sono alle prese con le recenti polemiche sull’utilizzo a vario titolo improprio della comunicazione sui social: dalle fake news utilizzate a fini politici , alle frequenti ingiurie che costellano le time line dei profili e delle pagine dei social.

Nell’ordinamento giuridico della Germania, sono presenti misure particolarmente dure nei confronti di diffamazione, incitamento all’odio nei confronti di minoranze o alla delinquenza e alla violenza, comprendenti anche la negazione dell’Olocausto. Tuttavia, come sottolinea l’agenzia di stampa Reuters, sono pochi i casi di soggetti finiti davanti ai tribunali. In Italia si sta timidamente pensando ad un disegno di legge per tracciare gli utenti dei social network e sappiamo bene che la questione ovviamente non riguarda solo la Germania: negli Stati Uniti hanno fatto discutere negli ultimi giorni i criteri di selezione dei commenti rimossi da parte di un social media come Facebook, che non ha rimosso un post con le frasi del repubblicano della Louisiana Clay Higgins contro i musulmani “radicalizzati”: «Cacciateli, identificateli e uccideteli!» mentre ha cancellato il post del poeta bostoniano e attivista nero Didi Delgado, in cui accusava tutti i bianchi di essere razzisti.

Dunque non sfugge a nessuno il potere discrezionale di orientare o meno l’informazione e soprattutto di pressione politica. L’accountability dei social in questa materia è fondamentale: sia per la costituzione di un rapporto di fiducia nei confronti dei singoli utenti che nei confronti degli inserzionisti pubblicitari. Facebook, in particolare, ma anche le altre piattaforme stanno conquistando fette di mercato sempre più ampie ai canali e ai media tradizionali. E dunque è anche una questione di mercato ma un governo serio, che ha responsabilità e coraggio procede e tutela i suoi cittadini. Ricordiamo poi che un segnale chiaro che dovrebbe far riflettere quelli che continuano a pensare che attraverso i social sia lecito l’insulto indiscriminato, e chiunque può dire qualunque cosa come se si fosse tutti chiusi nello spalto di uno stadio, lo ha dato la prima sezione penale della Cassazione . La Corte ha specificato in una sentenza (n. 50 del 2 gennaio 2017) che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “Facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e quindi di esclusiva competenza del tribunale penale, poiché si tratta di «condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone». È chiaro che non dovrebbero essere la paura delle sanzioni, ma una maggiore cultura digitale a far riflettere i “leoni da tastiera”, ma è sempre bene che anche chi interpreta il diritto si  renda  conto che ciò che avviene in rete non riguarda più una parte esclusiva della società ma comporta effetti reali nella vita di qualsiasi cittadino.

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