L’attentato di Barcellona e alcune incomprensibili omissioni dell’amministrazione catalana e della polizia ancora una volta accendono i riflettori su carenze, mancanza di prevenzione, assenza di scambio di informazioni, impreparazione operativa che più volte sono emerse dopo gli attentati degli ultimi anni. Nel caso di Barcellona la storica rivalità con Madrid sta creando enormi problemi di sicurezza alla Spagna e lascia sgomenti la decisione del sindaco della città catalana, Ada Colau, che ha rifiutato l’installazione di barriere all’inizio della Rambla anche dopo la strage così come aveva fatto prima: “Siamo una città aperta”. In attesa di capire quanti morti serviranno prima di considerare certe città meno aperte ai terroristi (ma non ai turisti), l’attentato spagnolo mette nel mirino l’attività dell’intelligence come avvenne in Francia e in Belgio, anche se nel recente passato gli episodi eclatanti sono stati molteplici.
LE CARENZE DELL’INTELLIGENCE SPAGNOLA
Dopo quanto avvenuto il 17 agosto il vicepresidente del Copasir, Giuseppe Esposito, su Facebook ha commentato: “L’intelligence italiana svolge il suo lavoro egregiamente viste le condizioni, ma oggi manca l’Europa nella sua complessità a dare una risposta. Non si possono avere ottimi Servizi in un Paese e non idonei in altri Paesi”. Il diciassettenne marocchino Moussa Oukabir, uno dei terroristi spagnoli forse ucciso nella sparatoria di Cambrils, due anni fa su Internet scriveva: “Uccidere gli infedeli e lasciare solo i musulmani” mentre sta emergendo che il piano era in preparazione da un anno: è evidente che la sicurezza spagnola ha fatto acqua.
IL COMICO ARRESTO DI SALAH ABDESLAM
Il 18 marzo 2016 a Molenbeck, comune alle porte di Bruxelles, le forze speciali belghe arrestarono il latitante Salah Abdeslam, autore delle stragi di Parigi del novembre precedente. Il video dell’arresto è disponibile su Internet: alcuni agenti si sistemarono solo su un lato dell’ingresso dell’edificio dov’era nascosto il terrorista il quale, uscendo, li vide e fuggì dall’altro lato. Gli intimarono di fermarsi, guarda caso lui non si fermò e quindi gli spararono, per fortuna solo ferendolo. Così almeno fu possibile interrogarlo, anche se non immediatamente perché il suo avvocato la tirò per le lunghe con la scusa del ricovero in ospedale. Alla domanda se non sarebbe stato ovvio sistemare agenti (delle forze speciali!) anche dall’altro lato dell’ingresso e magari fermarlo con un pugno, un funzionario di polizia italiano rispose allargando le braccia: “Eh, infatti…”.
IL POLIZIOTTO DI ISTANBUL
Il 28 giugno 2016 un commando di sette terroristi assaltò l’aeroporto di Istanbul causando decine di morti. Un agente di polizia, nascosto dietro un angolo, sparò e ferì uno di loro che, cadendo, perse il mitra: le riprese delle telecamere di sicurezza mostrarono il poliziotto che, pur avendo sotto tiro il kamikaze ferito, non gli sparò alla testa come avrebbe dovuto, ma dopo almeno 10 secondi di titubanza (un’eternità) decise di scappare perché capì che il terrorista stava cercando di innescare il giubbotto esplosivo e infatti dopo altri 10 secondi il kamikaze saltò in aria. Un poliziotto che scappa addirittura quando ha il “nemico” facilmente sotto tiro non è quello che ci si aspetta sul fronte della sicurezza: non si pretendeva l’addestramento delle forze speciali che entro due secondi da un blitz devono aver eliminato il terrorista ed entro tre secondi devono aver concluso l’azione, ma così si è avuta la dimostrazione che la sicurezza in città altamente a rischio come Istanbul sono affidate a soggetti totalmente impreparati.
IL FUCILE RUBATO ALLA SOLDATESSA
L’attentato alla redazione di Charlie Hebdo era avvenuto oltre due anni prima, gli attacchi di Parigi un anno e mezzo prima, eppure il 18 marzo 2017 all’aeroporto parigino di Orly un uomo che voleva “morire per Allah” aggredì alle spalle una soldatessa dell’operazione Sentinelle (analoga alla nostra “Strade sicure”) e dopo circa due minuti riuscì a strapparle l’arma. La soldatessa era sola e per oltre un minuto nessuno, né altri soldati né poliziotti, si avvicinò. Solo in un secondo tempo la ragazza riuscì a liberarsi e il terrorista fu ucciso da altri soldati. In Italia non sarebbe possibile: non solo i militari pattugliano in coppia, ma sono specificamente addestrati sia a difendere l’arma, che indossano in un certo modo, sia a reagire a mani nude.
L’ATTENTATO DI WESTMINSTER
A Londra pensano ancora di vivere ai tempi dei Beatles e i poliziotti continuano a girare disarmati. Il 22 marzo scorso un uomo travolse e uccise con l’auto diverse persone sul Westminster Bridge, arrivò a piedi fino all’ingresso del Parlamento percorrendo qualche centinaio di metri senza ostacoli e uccise a coltellate un poliziotto (disarmato) che era nei pressi. Il terrorista fu a sua volta ucciso subito dopo dalla guardia del corpo del ministro della Difesa inglese impegnato a Westminster: in altri termini, senza quella guardia del corpo armata e presente casualmente all’esterno, un terrorista sarebbe potuto entrare nel Parlamento di Londra.
L’ITALIA
Purtroppo gli esempi sarebbero molti. “Io non credo alla propaganda di alcuni siti islamici, ma sono consapevole che nessun Paese, neanche l’Italia, possa sentirsi al riparo dalla minaccia” ha detto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, il 20 agosto al Meeting di Comunione e liberazione a Rimini. L’hanno ripetuto più volte negli ultimi anni i ministri dell’Interno Angelino Alfano e Marco Minniti. La palese incapacità e impreparazione di altre importanti nazioni, che a quanto pare faticano a imparare la lezione, deve però far rimarcare l’ottimo lavoro dell’Italia: è importante ricordarlo quando si incontrano forze dell’ordine e forze armate in giro per le città, pensando anche a chi non si vede perché mimetizzano in borghese o perché dietro a una scrivania alle prese con decisioni difficili.