Chissà se sarà la volta buona, e se tutti la definiranno buona. La direttiva annunciata a Ferragosto dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, riorganizzerà le numerose specialità delle forze di polizia e razionalizzerà i presidi di Polizia e Carabinieri puntando a tenere i commissariati di Ps nei capoluoghi e i comandi dell’Arma nel resto del territorio, salvo eccezioni. Non è certamente un caso se questa suddivisione sia stata accennata in diverse direttive dei decenni scorsi e se ancora oggi non abbia trovato applicazione: a nessuno piace lasciare il posto ad altri e c’è da scommettere che anche stavolta ci saranno resistenze. La riorganizzazione è prevista dalla legge Madia di riforma della Pubblica amministrazione che, per quanto riguarda il settore della sicurezza, ha già comportato l’assorbimento del Corpo forestale nei Carabinieri e l’attribuzione di nuovi compiti alla Guardia di Finanza, diventata unica polizia del mare dal 1° gennaio scorso.
L’ANNUNCIO DI MINNITI
La direttiva anticipata dal ministro “declina le modalità con cui la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza dovranno coordinare l’espletamento dei rispettivi servizi in tutti quei settori affidati alla esclusiva competenza di una Forza di polizia, ovvero a più specialità in concorso tra loro”, come ha spiegato una nota del Viminale, e individua, “sulla base di parametri oggettivi connessi alle condizioni socio-economiche, infrastrutturali, della criminalità comune ed organizzata, rilevabili in ogni singolo contesto, criteri per razionalizzare la dislocazione dei presidi delle Forze di polizia con l’obiettivo di assicurare una presenza coordinata che privilegia l’impiego della Polizia di Stato nei comuni capoluogo e dell’Arma dei Carabinieri nel restante territorio”. Il tutto prevedendo l’aggiornamento dei singoli piani di controllo del territorio nei quali valorizzare le polizie locali, oltre alla necessità di attuare il numero unico per le emergenze 112 in tutta Italia. Minniti ha ricordato le direttive Napolitano del 1998 e quella Pisanu del 2006 che hanno affrontato gli stessi argomenti: oggi la differenza sta nella legge Madia, cioè in un’ampia riforma della Pubblica amministrazione che di per sé costituisce una base politica e giuridica più solida rispetto alle direttive di un ministro.
LE DIRETTIVE NAPOLITANO
La differenza non sta solo in una riforma. Le cinque direttive “vincolanti” emanate il 25 marzo 1998 dall’allora ministro Giorgio Napolitano furono accompagnate da polemiche violentissime perché, con la scusa di migliorare il coordinamento ed eliminare le sovrapposizioni, una di essere depotenziava il Ros dei Carabinieri, lo Sco della Polizia e il Gico della Guardia di Finanza, i reparti investigativi speciali accusati di eccessiva autonomia e ridotti a dipendere dai comandi territoriali, mentre a livello centrale furono trasformati in “centri di analisi”. Alla base della decisione c’era uno scontro molto duro tra la procura palermitana di Giancarlo Caselli e il Ros di Mario Mori e un magistrato che si oppose alla riorganizzazione fin dall’inizio fu Piero Luigi Vigna. Per farla breve, quella direttiva fu modificata nella primavera del 2000 dal ministro Enzo Bianco che restituì maggiore potere investigativo a quei reparti: la lettura politica fu che l’allora governo di centrosinistra capì di aver commesso un errore.
Anche Napolitano dispose una diversa dislocazione dei presidi con la presenza della Polizia nei capoluoghi superiori a un certo numero di abitanti e quella dei Carabinieri nel resto del territorio, così come la Guardia di Finanza ebbe più potere nella polizia del mare pur con l’apporto delle Capitanerie e della Marina militare. Altre direttive riguardavano l’ufficio di coordinamento e di pianificazione del ministero dell’Interno e gli uffici interforze.
LA DIRETTIVA PISANU
Il decreto varato il 28 aprile 2006 dall’allora ministro Beppe Pisanu riguardava invece solo le specialità delle varie forze di polizia, ma non faceva cenno alla diversa dislocazione dei presidi, e puntava a evitare sovrapposizioni. Sulla sicurezza stradale la competenza era della Polizia, mentre Carabinieri e altri fornivano solo un concorso; sulla sicurezza ferroviaria la competenza era solo della Polizia; per la sicurezza delle frontiere prevaleva sempre la Polizia con il concorso della Finanza sul fronte economico-finanziario; sulle reti di comunicazione e sulla sicurezza informatica la “competenza primaria” era assegnata alla Polizia, salvo un “raccordo” con la Finanza per la tutela di marchi e brevetti; in materia di sanità, igiene e alimenti la competenza era di Carabinieri e Forestale, mentre la Finanza interveniva sul controllo della spesa sanitaria; nel settore agroalimentare la competenza era divisa tra Guardia di Finanza e Carabinieri così come sulla sicurezza ambientale era di Carabinieri e Forestale; divisione di competenze tra Carabinieri e Finanza anche sulla sicurezza nella circolazione dell’euro e dei mezzi di pagamento; infine, l’Arma manteneva la competenza nella tutela del lavoro.
LE PROSPETTIVE
Come si vede, nonostante le buone intenzioni esistono diverse sovrapposizioni e solo una volta definito il testo della direttiva Minniti si potrà fare un bilancio. Si nota una piccola coincidenza tra il 2006 e oggi: la vicinanza con le elezioni politiche. La direttiva Pisanu, emanata in aprile allo scadere della legislatura, fu pubblicata sulla Gazzetta ufficiale solo il 21 agosto, quando c’era ormai il governo di Romano Prodi con Giuliano Amato ministro dell’Interno e Minniti viceministro con delega ai rapporti con le forze dell’ordine. Oggi l’annuncio di Minniti arriva a due anni dalla riforma Madia, a parecchi mesi dalle decisioni su Forestale e polizia del mare e alla vigilia della campagna elettorale. Non tanto una riorganizzazione delle specialità, quanto la divisione tra capoluoghi e resto del territorio divide poliziotti e carabinieri da sempre e all’Arma non è mai piaciuta l’idea di doversi allontanare da certe città. Visto che l’obiettivo finale è quello di una migliore presenza delle forze dell’ordine su tutto il territorio e quindi di garantire maggiore sicurezza, è positivo che se ne parli di nuovo purché prevalga il realismo da ogni parte in causa. I tempi tecnici non possono essere brevi anche se Minniti ci ha abituati a un discreto decisionismo. A questo proposito nei mesi scorsi, al congresso del sindacato Coisp, disse che “c’è bisogno di una nuova legge 121 che consenta di affrontare in maniera organica la costruzione di un nuovo modello di sicurezza del paese”: un ministro che vuole cambiare la legge di riforma della pubblica sicurezza del 1981 sa di dover affrontare una vera rivoluzione, ma sa anche che la palla passa al prossimo Parlamento.