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La polveriera delle case popolari a Milano

case popolari

Oggi gli Enti di edilizia popolare, comunali o regionali, si sono trasformati da erogatori del “servizio casa” ai lavoratori dipendenti che fino al 1998 contribuivano con prelievo diretto sulla busta paga dello 0,35% ( a cui si aggiungevo lo 0,70% delle imprese) e nel tempo potevano riscattavano la proprietà, in centri socio-assistenziali che si fanno carico della popolazione indigente, italiani e immigrati regolari, come gli sfrattati, i titolari di pensioni basse e i disoccupati di lungo periodo. Questo tipo di responsabilità oggettiva affidata agli Enti può essere discutibile ma non si può negare che abbia contribuito in maniera sostanziale a garantire nel territorio quel minimo di tenuta sociale indispensabile alla convivenza civile. È mancato però un adeguato intervento di finanziamenti pubblici (lo Stato ha affidato tale compito alle Regioni senza trasferire i fondi) per cui gli amministratori si sono dovuti “arrangiare” principalmente con le risorse di cui disponevano, costituite dalle vendite del patrimonio immobiliare disponibile e dai canoni degli inquilini “virtuosi”.

La  falla più grave è costituita dai mancati pagamenti non solo dei canoni ma anche delle spese di gestione che costituiscono un costo aggiuntivo. Le cifre sono di tutto rispetto. Se prendiamo in considerazione la situazione del’ALER (ex IACP)  di Milano questi oneri pesano per più di 60 milioni sul bilanci dell’Ente che ne percepisce 157 per canoni. La stessa criticità vale anche per la MM, la Società di Palazzo Marino che amministra le case di proprietà del Comune ma la cui attività di gestione immobiliare costituisce una parte modesta delle proprie attività. Il fatto è che ormai gli “indigenti” monopolizzano per forza di cose le assegnazioni (nei primi sette mesi  di quest’anno ALER ha distribuito 600 alloggi, di cui solo cento a presumibili “paganti”) e inevitabilmente riducono il numero degli inquilini solventi, che già sono in calo naturale per effetto della alienazione degli alloggi che vengono loro venduti per far cassa. L’utenza indigente (su cui peraltro i controlli effettuati mettono in luce dichiarazioni truffaldine pari ad un modestissimo 0,1%) dovrebbe pagare come stabilito dalla legge Regionale, 20 euro al mese che nella stragrande maggioranza dei casi non vengono versate. Men che meno vengono pagate le spese per i servizi e le manutenzioni che pesano tra 100 e 150 euro medie mensili. Poiché il 40% dell’utenza rientra tra i soggetti indigenti si intuisce facilmente la gravità della situazione. Ma nel sistema dell’edilizia popolare c’è qualcosa di assai più grave. Nel tempo le case popolari sono divenute un avamposto di illegalità per il combinato disposto delle iniziative dei centri sociali e della malavita organizzata. Negli ultimi tempi si sta cercando di capire chi effettivamente abiti in molti alloggi e si fa strada persino il dubbio che possano essere usati come rifugio da qualche “radicalista islamico”. Oggi le occupazioni abusive sono a Milano sono circa 5000,  di cui 3500 riguardano ALER e 1500 MM.  Non solo questi “inquilini” non pagano il canone ma gli enti si sobbarcano pure le spese…

Fino al 2011 il contrasto alle occupazioni abusive era abbastanza efficace. Con la Giunta Pisapia si praticò la  politica della tolleranza accreditando la parola d’ordine che “occupare non è reato”. Il nuovo assessore alla sicurezza Carmela Rozza (in foto) ha oggettivamente mutato l’approccio nei confronti delle occupazioni abusive ma non è facile, date le circostanze, una radicale inversione di tendenza. Desta tra l’altro non poca curiosità che il Sindaco abbia come consigliere alle periferie l’avvocato Mirko Mazzali, uno dei difensori “storici” dei militanti dei centri sociali. Se si vuol davvero imprimere una svolta occorrerà tirare una riga. Il passato dovrà essere gestito con le riflessioni del caso ma l’obiettivo dovrà essere zero nuove occupazioni. Perché non introdurre per il reato di occupazione abusiva  di  alloggio pubblico il mandato d cattura obbligatorio? Per un furto o per la sottrazione di energia si finisce in cella! Forse privare un cittadino in condizioni disagiate dell’abitazione cui ha diritto è meno grave o più tollerabile? D’altra parte se fosse vero che a legislazione inalterata è possibile intervenire per evitare nuove occupazioni c’è da chiedersi perché non lo si faccia e chi dovrebbe garantire le condizioni per il ripristino della legalità.

Ma c’è qualcosa più allarmante, che talvolta assume contorni grotteschi,  ma che meriterebbe la massima attenzione. Le difficoltà finanziarie di ALER, come si legge nel bilancio dell’Ente, “hanno causato la mancata messa in sicurezza degli alloggi hanno causato la mancata messa in sicurezza degli alloggi determinando l‘avvio di procedimenti della magistratura in relazione all’inosservanza di provvedimenti a tutela della sicurezza pubblica”. In poche  parole si è “accelerato il processo di obsolescenza tecnico-funzionale delle componenti  edilizie” e i rischi per la sicurezza sono aumentati. Finora, per fortuna, non è accaduto nulla di irreparabile ma i segnali devono allarmare. Nel caso di un edificio di via Bolla al quartiere Gallaratese, dove erano apparsi elementi di preoccupazione, la casa è stata sgomberata e gli inquilini trasferiti altrove con il loro consenso. Il palazzo dovrebbe essere abbattuto e ricostruito ma l’operazione è ferma perché usciti gli assegnatari restano nell’edificio gli occupanti abusivi. Che cosa dobbiamo aspettare per lo sgombero e la demolizione? Gli interventi di prevenzione devono rimanere esercizi di retorica dopo che i drammi sono avvenuti?

I grandi centri urbani hanno bisogno non solo  di riqualificare e potenziare e rinnovare continuamente il patrimonio edilizio, di favorire  sistema di graduale trasferimento delle proprietà delle abitazioni alle  famiglie  anche come  fattore di mobilità sociale oltre che fonte di rifinanziamento per l’edilizia pubblica. Si pensi alle giovani coppie che spesso non dispongono di redditi sicuri tali da fornire garanzie per l’affitto di un alloggio da privati. Questo significa ridar vita a interi quartieri, a partire dallo storico Lorenteggio, una delle realtà più problematiche, che potrebbe essere demolito e ricostruito con più abitazioni e più verde. Ma per ottenere un buon risultato occorre che contestualmente si affermi il rispetto della legalità e venga garantito il rifinanziamento degli Enti e un loro assetto di gestione unitaria nel territorio. Questa è la sfida su cui dovrebbero cimentarsi le istituzioni e soprattutto le forze politiche, tanto più in vista delle scadenze elettorali.

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