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Chi sono i quattro guru che daranno consigli a Eni

Eni vuole studiare a fondo la transizione energetica, il ruolo delle rinnovabili e il futuro delle fonti fossili: il Consiglio di Amministrazione del gruppo guidato da Claudio Descalzi ha istituito un advisory board che analizzerà, a beneficio del Board e del CEO di Eni, i principali trend geopolitici, tecnologici ed economici in atto, incluse le tematiche relative al processo di decarbonizzazione.

Presieduto dal consigliere Fabrizio Pagani del Mef, l’advisory board è costituito da alcuni dei massimi esperti internazionali di energia e clima: Ian Bremmer, Christiana Figueres, Philip Lambert, Davide Tabarelli. Dovranno dare ad Eni indicazioni su come si sposteranno gli equilibri nelle fonti di energia nei prossimi anni, ma anche sulla possibile evoluzione degli scenari geopolitici, tra Brexit, elezione di Donald Trump negli Usa, futuro dell’Europa, instabilità in Medio Oriente, minaccia nord-coreana e ascesa della Cina. Ecco che cosa ne pensano i quattro super-esperti.

BREMMER: “TRUMP E PUTIN? NON QUADRA”

Presidente e fondatore del think tank Eurasia Group (focalizzato su temi geopolitici), Ian Bremmer è un nome familiare nell’America di Trump: è stato lui, prima della stampa, a diffondere la notizia che il nuovo presidente, ai margini del G20, aveva tenuto un secondo incontro riservato col presidente russo Vladimir Putin. Bremmer ha detto di averne parlato perché gli alleati Usa al summit mormoravano: “Era sconcertante per loro vedere Trump a suo agio con l’avversario”. “Presidente Trump, può dirci di che cosa ha discusso con Putin?”, ha twittato Bremmer mentre il presidente americano bollava come fake news l’incontro. “La relazione di Trump con Putin…non mi quadra”, ha ribadito Bremmer intervistato da Bloomberg.

Bremmer è noto anche per aver fallito le sue previsioni sull’elezione di Trump: per lui era “altamente improbabile” che gli americani volessero dare credito a una “star della Tv” e che  Trump conquistasse tanti voti anti-establishment. Smentito dai fatti (non è stato l’unico), il presidente del think tank Eurasia Group si è lanciato in attacchi contro la politica dell’America first. Ha anche detto che è “un enorme fattore di rischio politico e economico” il fatto che Trump segua una linea totalmente contraria a quella perseguita finora dai presidenti americani: “Va bene, non vogliamo più la leadership di prima, ma restiamo l’unica superpotenza mondiale”, secondo Bremmer.

LA FINE DELL’ERA DELLE SUPERPOTENZE 

Dopo la decisione di Trump di abbandonare gli accordi sul clima di Parigi Bremmer ha rilasciato un commento simile: “Direi che la leadership americana nel mondo è al punto più basso dall’epoca del Piano Marshall”. Certo, non è solo colpa di Trump: vanno considerati anche “l’ascesa della Cina e la debolezza dell’Europa, tra Brexit e Putin. Ma l’abbandono da parte di Trump del multilateralismo e dei valori americani è il colpo di grazia”. Bremmer ha concluso: “Volete sapere qual è lo spartiacque in tutto questo declino dell’influenza americana nel mondo? Dopo l’elezione di Trump, direi proprio il ritiro dagli accordi di Parigi. La Pax Americana è finita. Nessuno sarà capace di prendere il nostro posto”. Forse la Cina? “Ma figuriamoci. Benvenuti a G-Zero”.

G-Zero world è il termine coniato da Bremmer e dallo scienziato della politica David F. Gordon per indicare un mondo in cui le grandi potenze mettono da parte le loro ambizioni di leadership globale (che sia in alleanza o in contrasto tra loro) e si ritirano in un atteggiamento isolazionista. E’ un mondo in cui la crescita economica rallenta.

Nuovi rischi di instabilità sia per l’America che per l’Europa potranno derivare anche dal recente voto del Parlamento Usa sulle sanzioni contro Russia, Nord Corea e Iran. “In Europa non hanno consultato nessuno, i tedeschi soprattutto sono molto arrabbiati”, ha affermato Bremmer, mentre negli Stati Uniti il segnale dato da Congresso e Senato, che sono a maggioranza Repubblicana, “non ha precedenti”: “Evidentemente non sono convinti della capacità di Trump di rappresentare l’interesse americano con i russi. Le sanzioni mineranno le relazioni Usa-Russia, nonostante quello che desidera Trump. Sarà molto interessante vedere come replicherà Putin”.

FIGUERES: “NON CI SERVE TRUMP PER SALVARE IL CLIMA”

Segretario esecutivo del UNFCCC (Framework Convention on Climate Change dell’Onu) nel 2010-2016, principale promotrice dell’accordo sul clima di Parigi e tra i massimi esperti di temi ambientali, Christina Figueres è stata definita nel 2015 dal New Yorker “la donna che potrebbe fermare il cambiamento climatico” (allora negoziava con i leader mondiali sul tema delle emissioni inquinanti in vista del summit nella capitale francese). Ha lanciato nel 2016 l’iniziativa “Mission 2020” per promuovere l’adozione di politiche pro-clima nell’immediato futuro: il 2020 sarà l’anno cruciale per invertire la pericolosa marcia verso temperature torride, siccità, ritiro dei ghiacciai, inondazioni e fenomeni meteorologici estremi.

Figueres ha ribadito questa posizione in una lettera scritta insieme ad Hans Joachim Schellnhuber dell’ Intergovernmental Panel on Climate Change e apparsa sulla rivista Nature: i progressi tecnologici e l’ascesa delle energie verdi, insieme all’impegno dei grandi governi mondiali (a partire dalla Cina) e del settore privato, possono riuscire a contrastare il cambiamento climatico anche senza Trump. “Non sono preoccupata per niente dal ritiro di Trump da Parigi”, ha dichiarato la Figueres. La guru del clima ha tra l’altro fatto notare che la decisione di Trump non ha valore legale, perché il ritiro ufficiale degli Stati Uniti può essere annunciato solo il 5 novembre 2019 e entrare in vigore nel 2020. Ha invece una valenza “politica”: a livello nazionale, Trump illude i suoi elettori che sta proteggendo posti di lavoro nell’industria dell’energia (“posti che non esistono e non si creeranno”, ha osservato la Figueres. “E i lavori nel carbone se non sono andati per sempre”), mentre a livello internazionale il presidente Usa ribadisce di non essere disposto a collaborare con nessuno.

LAMBERT, “INARRIVABILE ESPERIENZA SULLA RUSSIA”

Philip Lambert è il Ceo della società inglese Lambert Energy Advisory specializzata su analisi strategiche ed operazioni M&A nel settore Energy. Negli scorsi anni la società ha fatto da consulente per transazioni di M&A del valore di oltre 60 miliardi di dollari. Lambert ha una specializzazione: dal 1991 lavora con il settore energetico russo e negli anni ’90 ha assistito Gazprom nel percorso di “privatizzazione” e nella sua alleanza con Shell. La sua conoscenza del mercato russo dell’energia è considerata inarrivabile. La Lambert Energy Advisory ha seguito, dopo il 2001, diverse iniziative in Russia tra cui la vendita (28 miliardi di dollari) della quota BP in TNK a Rosneft (a seguito della vendita BP è divenuta azionista al 20% di Rosneft).

Philip Lambert, che ha fatto da consulente anche per Total e per il governo della Malesia su Petronas, ha volutamente mantenuto la sua società entro dimensioni da “piccola impresa”, ma con la capacità di essere ovunque nel mondo, grazie ad analisti costantemente in viaggio, e di forgiare relazioni durature. Un altro settore di cui è considerato molto esperto è il gas naturale: “Una delle massime sfide per l’industria oil&gas oggi è stimolare la domanda di gas di ogni sorta, anche liquefatto (LNG)”, ha detto Lambert: “ci sono molte economie che possono aver bisogno di gas naturale per continuare a crescere e il gas naturale ha un ruolo chiave nella riduzione delle emissioni di CO2 e nel permettere l’abbandono del carbone. Il gas è abbondante e ha ottime prospettive di business nel prossimo futuro, ma la domanda non è ancora sufficientemente elevata”.

TABARELLI: IL FUTURO DELLE FONTI FOSSILI

C’è anche l’italiano Davide Tabarelli (nella foto), presidente e fondatore di Nomisma Energia, società di ricerca sui temi energetici, nel nuovo advisory board di Eni. Tabarelli non crede in una fine prossima per l’era dei combustibili fossili: “Continueranno a fare la parte del leone nell’energy mix: la crescita della popolazione mondiale e la necessità di alimentare le economie globali fanno sì che petrolio, gas e carbone siano ancora le fonti più usate. Le fonti rinnovabili crescono ma le loro quote restano marginali: nella generazione di energia elettrica, per il 2040 si calcola uno 0,5% del totale da fotovoltaico, 0,2% da solare termico, 0,9% da eolico, 0,3% da geotermico”, ha indicato Tabarelli durante un recente seminario presso il Centro Studi Americani a Roma. In Europa le fonti rinnovabili rappresentano il 2% del totale e i progressi sono costanti, pur se “con uno squilibrio di attenzione verso eolico e fotovoltaico a scapito delle biomasse che invece hanno un ruolo importante”.

Una vera sfida sarà convertire alla rivoluzione green il settore dei trasporti: più di un quarto dei consumi finali di energia nel mondo riguarda il trasporto, dove dominano i derivati del petrolio (93% del totale), solo un 2% in meno rispetto al 1971. Nel 2040 le politiche green e le innovazioni tecnologiche permetteranno di ottenere un risultato più rilevante ma la preponderanza dei derivati del petrolio resterà (85% del totale). “Difficile ancora pensare a una rete capillare ed efficiente dei trasporti che sia anche green”, secondo Tabarelli. Difficile anche mandare in pensione definitivamente il carbone, molto inquinante ma low cost. “Non lo usano solo i paesi emergenti, ma anche quelli più industrializzati, compresi Usa, Germania e Italia”, ha notato Tabarelli.

IL PATRIMONIO ITALIANO IN MEDIO ORIENTE

Proprio il ruolo del carbone è un elemento di cui tenere conto negli anni a venire per il successo delle politiche green, insieme ad altre e ancor più importanti variabili come l’uso crescente del gas naturale per la generazione di energia elettrica – gas di cui gli Stati Uniti sono il massimo produttore mondiale. “Quel che succede negli Usa è molto importante”, ha detto Tabarelli; “sono secondi solo alla Cina per consumo di energia, hanno avviato le pratiche di fracking con cui hanno potenziato la capacità produttiva nazionale, ma sono anche diventati leader nel gas e quindi sono riusciti a ridurre le emissioni di CO2″.

Anche per Tabarelli il gas naturale è strategico per le aziende dei combustibili fossili: l’anno scorso, quando l’Eni ha ottenuto l’assegnazione, da parte della Egyptian Natural Gas Holding Company (Egas), del Contratto di Sviluppo di Zohr, giacimento di gas nell’offshore dell’Egitto, Tabarelli ha sottolineato la valenza positiva dell’operazione: “L’Egitto per avere stabilità economica ha bisogno di esportare gas e noi siamo un grande paese consumatore di gas, abbiamo tecnologie e valuta”. Il nostro paese può “sfruttare il patrimonio di relazioni diplomatiche costruite in passato che si fondano anche su un prestigio che l’Italia ha nel Medio Oriente e nel nord Africa e il fatto che questi paesi vogliono bene all’Italia”.



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